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 Il canone? È per le élite


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Il canone? È per le élite


  
 
Notazioni

«Finisco il mio riso e sono da voi». Harold Bloom, l'ultimo dei critici letterari, è rapido ad aprire la porta della casa di Linden Street, New Haven, dove vive e lavora da quarantasei anni. «Abbiamo la season questo weekend, Jeanne?», chiede alla moglie che non risponde, assorta sul «New York Times». «Meglio così, my dear».
Se dal 1994 Il Canone Occidentale (da Montaigne a Beckett, i ventisei autori che per Bloom hanno creato l'anima dell'Occidente) continua a dividere, Living Labyrinth: Literature and Influence, in uscita a gennaio in America, promette molto di più. Perché, incurante del braccio al collo («pensavano che morissi, invece sono ancora qui») Bloom continua la tradizione del polemista sommo, spaziando dal credit crunch a Berlusconi, dalla crisi delle élites a quella del femminismo. «Come sto? Molto meglio senza il nostro piccolo Mussolini, grazie».
Prego?
«S'è già dimenticato di Bush? Lo chiamavamo "il nostro piccolo Mussolini". Parodia del grande solo perché si è fermato».
E Barack Obama?
«Obama è delizioso. Quando i fascisti americani hanno attaccato la riforma sanitaria ho pensato: "Chi glielo fa fare? Lo uccidono"».
Siamo nel 2009, non nel 1969.
«L'ho pensato, con tutte queste pistole in circolazione. Ma posso farle una domanda io?».
Be my guest, dica pure.
«Perché Berlusconi ha tutto questo seguito? Dopo gli scandali delle escort pensavo che almeno le donne lo avrebbero criticato. Invece. Quanti anni ha?».
Settantatré, credo. «Non mi dica?! Ed è così sano?».
A quanto pare.
«Ma lei ci crede? Mah... Grazie».
A proposito di donne. È ancora vicino al movimento femminista?
«Lo strutturalismo femminista è ormai scandaloso quanto le sue assurde protagoniste».
Anche Camille Paglia, la sua pupilla?
«Pupilla? Lasci stare. Il "New York Times" l'anno scorso mi chiese cosa leggere per Natale: "Dante", risposi. Al giornale ricevettero molte lettere di femministe avvelenate che suggerivano Emily Dickinson. "Sì, certo", conclusi. "Allora perché non Danielle Steel e J. K. Rowling?».
Living Labyrinth è un altro libro sui grandi autori. Ma non era una sfida persa?
«Del tutto. Il senso di colpa non è stato superato e la cultura si è spappolata. Mi creda. Insegno da 55 anni e ho un seminario su Shakespeare il giovedì. It's gone. È finita».
Senso di colpa?
«Tutto inizia nel 1968, quando la rivoluzione viene imposta a livello mondiale. Politicamente il movimento era più che legittimo, nascendo come reazione all'orrore della guerra in Vietnam. Però la delegittimazione dell'autorità e la falsificazione del sapere sono penetrati in ogni aspetto della realtà, creando un complesso di colpa legato all'idea di élite culturale. Un'ipocrisia assurda, che ha distrutto ogni qualità occidentale nella trasmissione del potere. Il politicamente corretto nasce qui».
Il mondo però non è solo accademia.
«Giusto. Però soprattutto noi insegnanti siamo incerti. Anni fa, pensando agli insegnanti scoprii che Machiavelli ha insegnato più di Erasmo. E che Freud è un maestro. Voleva essere l'ultimo scienziato, invece è l'ultimo Machiavelli».
Ma Freud alla fine non parlava del Padre?
«È il suo senso profondo, come per tutta la cultura ebraica. Il transfert, poi, è sempre un transfert di affetti, una sorta di amore platonico. Nietzsche disse che l'agon nella cultura greca è essenzialmente esterno, politico o filosofico, mentre per gli ebrei è il padre. La verità è che Nietzsche sottostimava la Bibbia e anche Platone, perché era e resta sostanzialmente un aforista. Per questo il suo unico libro è la Genealogia della morale».
Nietzsche un aforista? E Dante? Sempre il fratello minore di Shakespeare?
«Dante è uno dei due fuochi del canone occidentale. Però, Dante è un ottimo esempio: per capirlo l'élite è inevitabile, perché o si ha la testa per leggerlo oppure no. Altro che Sessantotto!».
Perché non si ha più la testa per Dante?
«Chieda a Berlusconi».
Ancora Berlusconi? È un'ossessione.
«Berlusconi è uno degli esiti del Sessantotto, metafora di un mondo dominato dai media visivi. Però la cultura non può essere dominata dalla visione e restare in relazione con Dante, Shakespeare e Cervantes, che erano invece influenzati da Taddeo di Bartolo, Michelangelo, Caravaggio. Concettualizzavano metafore. Ma oggi?»
Oggi?
«Oggi il Canone è possibile ma solo per un'élite ancora più ristretta, questa è la tesi del mio prossimo libro. Non so dire, però, se questa élite potrà connettersi con la società dominata da modelli visivi bassi, popolari. Yale resta uno degli ultimi posti dove è possibile formare l'élite. Ma altrove? Guardi cosa succede in Italia».
Come si vede l'Italia da Yale?
«La riforma della scuola di Berlinguer è all'origine di ogni male, l'incipit della devastazione».
Passava per una riforma di sinistra.
«Chi se ne frega se chi devasta è di sinistra o di destra? Ho insegnato a Roma e a Bologna e dopo la riforma Berlinguer e l'indegna riforma Moratti gli studenti non sanno più chi erano non dico Dante o Leopardi ma Montale e Saba. Sono bastati due ministri per buttare via un millennio di cultura. Però è lo stesso in America».
Che cosa succede in America?
«Obama ha ereditato i suoi problemi da Benito Bush. Potrà fare molto, ma il manifatturiero non tornerà e lui lo sa. La riforma sanitaria passerà in qualche modo ma non sarà decisiva. Si dovrà rieducare la gente a valori nuovi. E poi c'è l'Afghanistan con milioni di donne colte, civili: se vincono i Talebani è un disastro. D'altra parte Obama non può fare errori perché il peggio è già stato fatto: Iran, Irak, Cina, Afghanistan. All'interno va anche peggio: il deficit più grande della storia, una società allucinata».
Però Obama è anche figlio del sistema che lei denuncia, fondato su visione, tv e marketing.
«C'è del vero. Ma l'esempio perfetto del nostro mondo dove la videocrazia ha sostituito élite e democrazia per me è Sarah Palin, un perfetto functional illetterate. Ogni sua frase è un insieme di mancanze grammaticali e semantiche ideali per catalizzare le nuove plebi urbane e rurali. Se nel 2012 Palin sarà la candidata sarà la fine dei whig».
Eppure il suo libro ha battuto anche Dan Brown negli acquisti delle librerie.
«È la riprova di quanto le sto dicendo».
Meglio Sarah Palin o J. K. Rowling?
«Peggio Palin, ma entrambe sono uno scandalo. Ciò detto, chi se ne frega di J. K. Rowling, Palin e Stephen King? Il tema è che si dovrebbe contemplare Dante e Beatrice, non Harry Potter».
Videocracy però è la vecchia tesi di Adorno e Anders, il Grande fratello che piace molto ai radical chic. Americani e italiani.
«Intendiamoci. Io non credo che Berlusconi abbia ordito un complotto, né che ne sia vittima. È paranoia. In realtà conta solo la finanza. E la verità è che Michelangelo e Beethoven vendono meno del rock e del gossip. Non c'è cospirazione, chi gestisce il sistema è troppo intelligente: peccato, perché sarebbe stato più interessante. Berlusconi e i reality sono semplicemente l'esito di un percorso, come la difficoltà crescente a concentrarsi. Dante è una lettura straordinaria, ma richiede una cultura che l'epoca dominata dalla tv non può più assicurare. Non so se un altro Ungaretti, un altro Montale sarebbero ancora possibili. O anche Saba, l'immenso Saba».
Nemmeno qui in America?
«Qui ci sono centinaia di romanzieri, ma nessuno raggiunge Beckett. Salvo soltanto Philip Roth, Thomas Pynchon e Cormac Mc Carthy».
Cosa sta leggendo in questi giorni?
«Whitman e Wallace Stevens, uno dei miei poeti preferiti. E Samuel Johnson, che a 300 anni dalla nascita rimane di grande influenza per l'esercizio della libertà intellettuale occidentale».
La libertà è in pericolo?
«No. La vera libertà è la cosa più difficile, pensare ciò che si vuole non quando qualcuno lo impedisce ma liberandosi dai propri condizionamenti. Alla mia età, comunque, questa parola non ha più molto significato». (Walter Mariotti)

 
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