Il dilemma della bse ebbe inizio nel 1976, quando il virologo Gajdusek affermò che tutte le encefalopatie spongiformi (SE) sono patologie infettive dovute a un virus trasmesso per via alimentare. Egli addusse come prova la malattia Kuru in Papua Nuova Guinea, la quale, secondo lui, era causata da rituali cannibalici (che nessuno ha mai osservato), e da un’ipotetica trasmissione della malattia mediante iniezione intracerebrale di materiale cerebrale affetto da Kuru nel cervello di topi.
Nel 1982, il neuropatologo Prusiner studiò le caratteristiche placche presenti nel cervello di pazienti affetti da SE, dimostrando che sono formate da una normale proteina di membrana che tende ad aggregarsi. Nei pazienti affetti da SE, questa proteina ha subito una mutazione, e presenta una maggiore tendenza a formare aggregati. Quindi, almeno le forme umane della SE sono malattie genetiche.
Nonostante Prusiner abbia fornito prove contrarie all’ipotesi virale di Gajdusek, era tuttavia catturato dal dogma dell’infezione. Dal momento che l’iniezione nel cervello di topi di materiale cerebrale di pazienti deceduti a causa della SE provocava la sintomatologia della SE, arguì la presenza di un agente infettivo nel materiale iniettato. La proteina aggregata indurrebbe l’aggregazione delle proteine normali. Chiamò questo materiale un agente infettivo proteinico (proteinic infectious agent, abbreviato non come PROIN — perché non è abbastanza futuristico — ma come PRION).
Apparentemente, Gajdusek, Prusiner e molti altri che dimostrarono l’infezione mediante l’iniezione intracerebrale non si chiesero come il sistema immunitario reagisca a proteine estranee e come possa essere coinvolto nello sviluppo di sintomi neurologici e istologici.
Per concludere, l’idea che le encefalopatie spongiformi siano malattie infettive a trasmissione orale sembra poggiare su una debole base: per prima cosa, l’infettività si basa su iniezioni intracerebrali che possono essere interpretate come una risposta autoimmune; in secondo luogo, l’ipotesi di trasmissione orale si basa su voci di rituali cannibalici.
D’altra parte, i dati e le osservazioni precedenti di Prusiner (ad esempio, Parry, 1962: “la scrapie può essere controllata tramite protocolli di breeding appropriati”) suggeriscono che le encefalopatie spongiformi sono malattie genetiche. Sono o ereditate in seguito a mutazioni delle gonadi o acquisite in seguito a mutazioni somatiche. La SE ereditata è molto rara (ad esempio, CJD familiare negli esseri umani), ma è talvolta frequente in popolazioni endogamiche (ad esempio, la scrapie delle greggi scozzesi). L’incidenza della SE acquisita negli esseri umani, la CJD, è di 1 per 1 milione all’anno. Inoltre, la SE acquisita non è di certo una nuova malattia del bestiame. Mucca pazza, mad cows, vache folle, hierlewirbelige Kühe erano un fenomeno abbastanza famigliare in passato, quando le mucche invecchiavano più di oggi. Secondo i dati, il tasso di questa malattia era di circa 1 per 10.000 o meno. Si riteneva che fosse una malattia legata all’età e non una malattia infettiva.
A partire dal 1986 in Inghilterra le mucche pazze furono osservate più di frequente. Le cifre mensili salirono da 100 nel 1987 a 3.000 nel 1993 per poi diminuire lentamente. L’epidemia si diffuse dal sud al nord, ma si notò sempre una maggior incidenza nel sudest, dove la malattia rimase confinata a certe contee. Le ricerche istologiche rivelarono i segni tipici della SE, come quelli presenti nel cervello di pecore colpite dalla scrapie. I veterinari che sostenevano il dogma di Gajdusek e l’idea di Prusiner dell’infezione dichiararono immediatamente, senza prova alcuna, che le mucche erano state infettate da prioni di pecore affette da scrapie, presenti nel mangime carneo; ciò nonostante, tali mangimi vennero proibiti nel 1988.
Non si eseguì alcun esperimento controllato sul campo sui bovini che si alimentava in questo modo. Invece, come (alquanto discutibili) prove furono presentati numerosi esperimenti di laboratorio effettuati soprattutto su topi, senza controlli adeguati. Il calo dell’epidemia 5 anni dopo il divieto di usare mangimi carnei non costituisce affatto una prova a sostegno dell’ipotesi della presenza di prioni nei mangimi carnei, dal momento che almeno un terzo dei bovini britannici colpiti dalla BSE era nato dopo il divieto.
Quindi, che un’agente infettivo venga trasmesso dalle pecore ai bovini attraverso il mangime e che venga trasmesso dai bovini agli esseri umani comportando gravi rischi per la salute di questi ultimi, tutto questo era (ed è tuttora) mera congettura.
Alla luce delle osservazioni pubblicate (ad esempio, che la BSE era distribuita in modo eterogeneo e limitatamente ad alcune contee, che la BSE colpiva solo il 20% delle greggi, che la prole di madri affette da BSE era più esposta alla BSE e che il modello genotipico delle greggi affette e non affette sembra essere diverso) e in linea con i dati di Prusiner è possibile formulare un’ipotesi alternativa: l’epidemia britannica di bse è dovuta anche a un difetto genetico accumulatosi nel pool genetico di certe greggi a causa di troppi incroci fra consanguinei. I bovini che presentano una forte predisposizione genetica saranno più sensibili ai fattori ambientali (ad esempio, intossicazione da insetticidi, deficienza di rame, malattie autoimmuni) e si ammaleranno di BSE prima degli animali che non presentano tale predisposizione.
Un probabile candidato come fattore ambientale potrebbe essere l’esposizione dei bovini a mangimi contenenti batteri che mostrano una mimesi molecolare tra proteine batteriche e tessuto bovino. L’analisi dei database delle sequenza molecolare mostra che l’ubiquitario Acinetobacter condivide sequenze con un peptide della mielina dei bovini e con la proteina del prione, come è stato riportato di recente dall’immunologo Ebringer, a Londra. Così gli anticorpi contro l’Acinetobacter potrebbero incrementare la tendenza ad aggregarsi tipica delle proteine mutate prioniche. Secondo Ebringer, la BSE potrebbe essere una malattia autoimmune come, per esempio, la spondilite anchilosante (M. Bechterw) o l’artrite reumatoide, che si osservano, in modo predominante, in pazienti con un certo quadro genotipico che sono esposti a certi batteri (Streptococcus, Klebsiella o Proteus).
Le mucche britanniche colpite dalla bse (di età compresa fra i 4 e i 5 anni) erano chiaramente malate e la diagnosi fu effettuata sulla base di disturbi neurologici. L’incidenza nelle greggi più colpite era di 1 su 10. D’altra parte, sulle cosiddette mucche pazze nell’Europa continentale venivano per lo più fatte diagnosi sulla base di un esame post-mortem che indicava la presenza di alcuni aggregati proteici nel cervello che sono difficilmente digeribili da un enzima batterico, ma che non indicava l’esistenza della malattia stessa. Il sospetto che queste mucche siano colpite dalla BSE si basa soltanto sui test. Avrebbero potuto contrarre la bse alcuni anni più tardi se non fossero state macellate in età relativamente giovane. L’incidenza in Germania è di un caso sospetto su 16.000 test eseguiti. Probabilmente, ciò rispecchia il tasso di mutazioni del gene della relativa proteina a un primo stadio embrionale. Le differenze regionali (ad esempio, un tasso maggiore nella Baviera meridionale) potrebbero essere causate da differenze nel bagaglio complessivo delle mutazioni.
Chi concepì l’ipotesi della presenza di prioni nei mangimi carnei era convinto che, se i prioni attraversano la barriera di specie tra pecore e bovini (mediante ingestione delle carcasse di pecore affette da scrapie) attraverseranno anche la barriera fra bovini e esseri umani (mediante ingestione di prodotti derivanti da bovini affetti da BSE). Fu previsto lo scoppio di un’epidemia fra gli esseri umani nei primi anni novanta. Migliaia di mangiatori di carne bovina avrebbero contratto la malattia di Creutzfeldt-Jacob. I media esagerarono questa mera congettura che provocò le reazioni isteriche nei consumatori europei.
Infine, nel 1994 morì un giovane paziente che presentava una sintomatologia neurologica; la diagnosi autoptica fu: CJD. Siccome il quadro sintomatologico differiva da quello di pazienti CJD più anziani, lo si dichiarò il primo caso legato alla BSE dell’epidemia attesa. La malattia venne chiamata nuova variante del morbo di Creutzfeldt-Jakob (nvCJD), ma la sua novità è discutibile, dal momento che la sintomatologia clinica e neuroistologica sono consistenti con la prima descrizione della SE negli esseri umani, ovvero con il caso di un paziente ventitreenne, pubblicato dal neurologo tedesco Creutzfeldt nel 1920.
Nel frattempo in Gran Bretagna vennero diagnosticati 130 casi di nvCJD, 1 su 4 milioni all’anno. È probabile che prima sarebbero stati etichettati con diagnosi diverse, come ha di recente scritto l’epidemiologo britannico Venters (“nvCJD, l’epidemia che non c’è mai stata”). Disse che le malattie molto rare sono in genere diagnosticate erroneamente, a meno che non siano al centro dell’interesse generale (e di un’ansiosa aspettativa). Manca una prova affidabile e definitiva della presenza di un legame con la BSE, benché vari scienziati (soprattutto quelli che ricevono i fondi di ricerca per studi sulla BSE) dichiarino costantemente il contrario, fomentando spesso e volentieri la pubblica isteria.
Curriculum Vitae
Roland Scholz
Nato nel 1934.
1960 Laurea in Medicina, Università di Marburgo, Germania.
1967 PhD e Lecturer di Biochimica, Università di Monaco di Baviera, Germania.
1967 Professore di Biofisica, Università della Pennsylvania, Philadelphia, Usa.
1972 Professore di Biochimica, Università di Monaco di Baviera, Germania, fino al pensionamento nel 1999.
Principali settori di ricerca e di insegnamento: regolazione metabolica, chimica delle proteine, basi biochimiche dell’alimentazione ed effetti metabolici dell’alcool.
Indirizzo:
Prof. Em. Dr. Med. Roland Scholz
Leutstettenstr. 20, D-82131
Gauting
Germany
Pubblicazioni di Roland Scholz sulla bse:
- Zur Infektiosität der spongiformen Enzephalopathien: Phänomene und Spekulationen, aber keine Beweise, in “Arzt und Umwelt”, 1997, pp. 105-112.
- 25 Thesen gegen die Behauptung, bse und vcjk seien oral übertragbare. Infektionskrankheiten und bse gefährde die menschliche Gesundheit, “Deutsche Medizinische Wochenschrift” 127, 2002, pp. 341-343.
- La vera storia della mucca pazza, “Il secondo rinascimento”, 95, marzo 2003, pp. 261-290.
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