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L’influenza, la violenza e la rapina del tempo


  
 
Notazioni
La questione di oggi è una questione capitale. In che modo le cose che si fanno giungono al capitale, alla cifra? L’influenza è stata considerata subito da coloro che hanno inteso rompere con la sofistica, con la poesia, con gli aedi, in un certo modo, anche con i turisti, con coloro che scrivevano in versi, con l’oralità, con la sua lingua “diplomatica”, che doveva trovare il ritmo, ciascuna volta. Diplomatica tra virgolette, perché, propriamente, ancora non c’era. C’era l’oralità. Il discorso occidentale ha inteso stabilire il proprio monopolio sull’influenza. Questa è la cosa “fondamentale”: l’influenza come dialogo, l’influenza come logo. L’influenza è quella del logo, quella del discorso come tale.
È l’influenza che vuole rettificare, che vuole allontanarsi dalla demonologia diffusa, anche dal mito, anche dalla poesia. Ma vuole assumere entro una propria demonologia.
Il discorso occidentale fa propria l’influenza, è il discorso dell'influenza. Come governare, padroneggiare, gestire, dominare la città, la terra, le istituzioni: il discorso dell’influenza è il discorso della padronanza. Qualsiasi disputa, la polemica stessa, la guerra stessa rientrano nel discorso dell’influenza. Rientrano nel fantasma di padronanza e nella mitologia della padronanza. Tutto ciò può sembrare semplice, ma, in breve, l’influenza ha un’accezione astrale, oppure sacrale, divina o umana o teocratica o laicista.
Anche nel luogo comune, l’influenza è questa: Tizio influenza Caio. Nella credenza comune, bisogna influenzare, Tizio influenza Caio, Caio è stato influenzato. Ecco il soggetto: e la libertà viene intesa come il soggetto. La libertà è il soggetto, il soggetto è la morte. Ciascuno può trovarsi disincantato, disinvolto, accorto, e dire: “Io non credo all’influenza intersoggettiva”. Ma la credenza è una convinzione acquisita, naturale. Nel modo di discutere, di ragionare delle cose che “accadono” fra gli umani, c’è questo luogo comune: ognuno è naturalmente convinto (e questo traspare dai ragionamenti, dai modi di dire, dalle accuse, dalle delazioni, dalle critiche, dalle obiezioni, dalle tante invettive, per esempio) che Tizio influenzi Caio, che l’influenza sia intersoggettiva, che l’uomo influenzi l’uomo, che il soggetto influenzi il soggetto, con la dicotomia fra soggetto attivo e soggetto passivo.
Questa convinzione è un luogo comune, ma è tanto acquisita che sembra naturale. Noi possiamo discutere, trovarci in varie discussioni pubbliche o private. E il pettegolezzo è questo: il discorso dell’influenza. Non ci sarebbe pettegolezzo, se non ci fosse l’idea che Tizio influenzi Caio o che sia possibile, comunque, influenzare, che l’influenza sia qualcosa di coniugabile, di transitivo e di mediazionale. Comune è l’opinione che l’influenza sia il modo di comunicare, che il discorso dell’influenza sia il discorso della comunicazione. È, anzitutto, una fantasmatica, ma questa fantasmatica, prima d’intervenire come discorso che si presume causa, nell’esperienza della clinica, è canonizzata, cristallizzata, fissata in un discorso, il discorso occidentale, che è luogo comune, dove l’influenza deve essere comunicazione diretta. Chiunque creda nella comunicazione diretta (e non è che creda perché dica: “Io credo”, ma perché emerge da una serie di fantasmatiche) partecipa, a suo modo, al discorso dell’influenza intersoggettiva, soggettiva o umana o laicista o divina.
Uno dei libri che, ogni tanto, diventano best-seller in Italia, qualche anno fa, s’intitolava: O si domina o si è dominati. Questo è il discorso dell’influenza. Appena detto, sembra che vada da sé.
Perché il successo di un libro inintellettuale dipende dalla sua rappresentazione del luogo comune. È tanto acquisito, tanto radicato, questo discorso, che viene formulato costantemente, in qualsiasi forma di conversazione, aziendale, istituzionale, professionale, confessionale, politica, pubblicitaria. Il messaggio stesso sembra il prodotto o il risultato dell’influenza dell’uomo sull’uomo, del soggetto sul soggetto.
La demonologia, uscita ufficialmente con Platone dalla porta, è rientrata dalla finestra e dal soffitto. Ogni scolastica ha dato il suo apporto, in linea con il discorso occidentale. Ha stabilito che c’è, alla base del fare — delle cose che si fanno, che si dicono —, la volontà di bene e che soltanto il diavolo o qualcosa di diabolico può intervenire a stabilire un soggetto attivo, che intenda prevalere sull’uomo o sull’altro soggetto, che, nella sua volontà di bene, non avrebbe mai potuto compiere qualcosa di non conformista, di non convenzionale. Il discorso dell’influenza è il discorso conformista, è il discorso che mira a creare il conformismo. La comunicazione diretta stabilisce, come riuscita, l’influenza dell’uomo sull’uomo, del soggetto sul soggetto. L’influenza, in questa accezione, e la comunicazione, in questa accezione, dipendono dalla logica del sì o del no, dalla logica del terzo escluso, dall’espunzione dell’Altro.
Soltanto togliendo l’Altro, è possibile il dialogo. Se il terzo è tolto, il dialogo si afferma. E il dialogo è comunicazione diretta, influenza riuscita.
Noi abbiamo analizzato tutto ciò, in oltre trent’anni, nei dettagli, avvalendoci di molti dati e di molti tratti propri dell’esperienza della clinica.
L’influenza che spazializza l’intervallo (insistiamo su questa formula), che toglie l’Altro e fa riferimento alla morte si offre come copertura dell’influenza che non spazializza l’intervallo, che non procede dalla logica del terzo escluso, ma dalla logica dell’apertura.
Qual è la condizione dell’influenza? Che l’influenza non sia astrale, che non sia demonologica, che non sia sacrale, che non sia laicista, che non sia intersoggettiva non toglie che ci sia un’altra influenza, che ci sia ben altra influenza rispetto all’influenza del discorso, rispetto al dialogo. L’altra influenza è quella in cui non c’è più soggetto, quella per cui l’evento si effettua. La condizione dell’influenza è la voce, punto vuoto e punto di oblio. Il punto vuoto non è il vuoto senza punto, è il punto vuoto come punto di astrazione, la voce. Vox, la voce singolare, mai plurale, la voce che non si pluralizza, la voce che non si popolarizza.
Se la voce è condizione dell’influenza, la prima cosa che il discorso occidentale fa è quella di togliere la voce, oppure di assumerla, di ricondurla al pluralismo e all’unità. Quindi, c’è la voce e ci sono le voci. “Bisogna sentire più voci”. Le voci. Il vociare è il dialogare. Assumere la voce, benché negata, renderla tangibile, in qualche modo visibile, è proprio del dialogo, della comunicazione diretta.
Sören Kierkegaard ha scritto saggi sulla comunicazione indiretta.
Però, l’apporto essenziale, rispetto alla comunicazione, è venuto dalla psicanalisi prima e, poi, dalla cifrematica, rispetto alla comunicazione. Nessuna comunicazione diretta. L’influenza non determina nessun passaggio e nessuna mediazione. La comunicazione non è intersoggettiva. In questo senso, l’intera teoria dell’informazione, la stessa scuola di Palo Alto, la grammatica di Noam Chomsky, la linguistica falliscono. Falliscono, perché credono ancora nel logo, nell’influenza propria del discorso della morte e nella comunicazione propria del logo.
La catacresi non è abuso dell’uomo sull’uomo, del soggetto sul soggetto. Né vale alla rappresentazione dell’Altro, una volta espunto, ma è il modo con cui l’Altro s’introduce nella parola. Il sogno rileva della funzione di Altro e la dimenticanza rileva della corda dell’Altro, nella variazione. La condizione della dimenticanza è la controvoce o punto di oblio e la condizione del sogno è la voce o punto di astrazione o punto vuoto. Sta qui il racconto: e nulla si fa, se non si racconta. Non già: prima si fa e, poi, si racconta. Ma il fare s’inaugura con il racconto. Il fare: la poesia, l’arte del fare, l’intelligenza o arte del malinteso e l’invenzione del fare.
Dove la memoria, attraverso la dimenticanza, mostra la corda del tempo, interviene il passo del tempo. Il sesso è il passo del tempo. Di passo in passo: la frontiera del tempo. E di piede in piede: il limite del tempo. Il tempo: frontiera e limite. Il taglio. La divisione. La divisione inalgebrica come ingeometrica: il tempo interviene facendo. Non c’è il tempo senza il fare. Con il passo, la misura. Niente misura, l’incommensurabile, senza il fare. Niente innumerazione, questa variazione costante, che contraddistingue le arti del paradiso, senza il fare.
Arte del silenzio, la danza, perché sulla corda dell’Altro, sulla corda del tempo. Arte del malinteso l’intelligenza. Poi, arte della politica. Poi, la musica, arte della luce. E la strategia, che sta dove l’arte della scrittura si compie. La strategia è compimento dell’arte della scrittura della battaglia e, anche, arte della piegatura.
Perché l’errore di calcolo? Perché il sogno è inevitabile. L’atto stesso di evitarlo trae, nonostante qualche complicazione, a un altro errore di calcolo. Le cose si fanno sul filo del crepuscolo.
Senza passaggio e senza mediazione tra la notte e il giorno o tra il giorno e la notte.
L’errore di calcolo. Il discorso occidentale ha spiegato che sono errori logici, errori rispetto alla logica del sì o del no, errori rispetto alla logica del terzo escluso. Il calcolo procede con il suo errore, con l’errore di calcolo. Così si costituisce il filo: di errore in errore.
Il filo di Arianna è il filo della verità.
Proprio qui, alla frontiera e al limite del tempo, lungo l’innumerazione, di passo in passo e lungo il filo di Arianna, giungono queste proprietà del tempo: la sua violenza e la sua rapina. Questa è l’influenza, la fluenza altra. Non ha nulla di automatico. Non dipende dalla volontà di bene o dalla volontà di fare, perché il fare è indipendente dalla volontà. Nessuna influenza, se non facendo.
Nessuna influenza del soggetto sul soggetto, dell’uomo sull’uomo.
Influenza secondo l’aritmetica, influenza nel ritmo.
Un congresso si è tenuto, molto provocatorio, in epoca di terrorismo, di mitologia dell’azione, a Milano, dal 24 al 26 novembre del 1977, La violenza. Non c’è più rappresentazione dell’influenza: né della rapina né della violenza. Nemmeno l’abuso, la catacresi, dipende dalla volontà. La contingenza dimora nell’intervallo.
Spazializzare l’intervallo significa lasciarsi andare, parlare nella propria lingua, litigare. Significa il conflitto, la polemica, la demonologia.
Significa credere di potere dominare, di potere padroneggiare.
Significa fare pettegolezzi, cioè, che ci sia un linguaggio sul linguaggio, una parola sulla parola, il fare sul fare, l’arte sull’arte, la cultura sulla cultura.
L’idea stessa della divisa segna la soppressione dell’intervallo, la sua spazializzazione, l’espunzione dell’Altro, la sua personificazione, la sua rappresentazione. Il realismo e il convenzionalismo sono due facce del naturalismo, sul principio del terzo escluso.
Il tempo, negato sul principio delle Parche, sul principio di morte, si rappresenta nello spettacolo della violenza e della rapina.
La demonologia regna sulla negativa del tempo e dell’Altro.
Abolendo la voce, lo spirito si fa amante. E il vampiro esercita il monopolio dell’influenza politica.
L’idea di plagio è un’idea materna, che definisce il discorso isterico. Un’idea di comunicazione diretta. Il discorso ossessivo si definisce nell’idea materna chiamata infezione. La contaminazione è l’idea materna, che definisce il discorso paranoico.
Telepatia è l’idea materna, che definisce il discorso schizofrenico.
Victor Tausk la chiamava macchina per influenzare. Sono, queste, idee di padronanza sull’influenza, idee di dominio del tempo, idee per rendere misurabile e risparmiabile il tempo.
Come avviene che queste idee non riescono come materne e risultano operatrici? Questa è la clinica: il fantasma non è più materno.
La comunicazione che segue all’influenza del tempo è una comunicazione che sta nella scrittura delle cose che si fanno secondo l’occorrenza. Altra comunicazione. Comunicazione che segue all’Altro, all’Altro irrappresentabile e impersonificabile, all’Altro, che è impossibile espungere. La ratio, la ragione, sta nel rischio, nella violenza e nella rapina del tempo. Di passo in passo, l’innumerazione va verso il futile, ciò che si sparge, ciò che è incommensurabile. Intransizionale il passo. Impassabile. Il tempo non passa e non scorre. La violenza va verso il futile e la rapina va verso il frivolo, immediazionale.
Le professioni e le confessioni si basano sul controllo e sulla padronanza, da esercitare sul cammino e sul percorso, anche contro l’umorismo, il motto di spirito e il riso, nonché contro le arti e le invenzioni del paradiso. Le professioni sono fatte apposta: bisogna che non ci sia da ridere! Tranne nel comico, nel discorso dello schiavo.

24 maggio 1999
 
Siti di riferimento
uni.ilsecondorinascimento.com
 
Relazioni
siti di riferimento uni.ilsecondorinascimento.com (Sito)
ha tra i partecipanti Armando Verdiglione (Scrittore, editore, imprenditore, inventore della cifrematica)





 
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