The Second Renaissance
     
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La salute


  
 
Notazioni
La salute intellettuale, la salute nella parola originaria, risponde al cervello, al cervello artificiale, pertanto al dispositivo. Che il cervello sia dispositivo intellettuale risulta acquisito, per noi, dopo la lezione del rinascimento, del testo del rinascimento. Senza psicosomatica. Senza dualismo psicofisico. Senza che il negativo e il positivo debbano stare dinanzi a noi.
Il concetto comune di salute è un concetto proprio al discorso occidentale. È tanto presa, la salute, tra il negativo e il positivo, che sembra la negativa della malattia. Una salute penitenziaria. Non soltanto la medicina penitenziaria ha un primato, sulla medicina in generale e sulle varie branche della medicina, ma la salute, in nome della quale la medicina interviene, è una salute penitenziaria, è una salute che impone penitenza, impone le ragioni della malattia.
In nome della salute, ci sono tante osservanze, tanti sacrifici, tante assunzioni di droghe o di psicofarmaci.
Venerdì, sabato e domenica prossimi (congresso L'immunità, Senago, 8-10 luglio 1999), Peter Düsberg dirà che le droghe, gli psicofarmaci, l’alcoolismo e la scarsa alimentazione vanno a colpire il dispositivo immunitario. Secondo Düsberg, non c’è un virus come ragione dell’Aids o come causa o come portatore, nemmeno come concausa, nemmeno come fattore accanto a altri fattori.
La salute dipende dal dispositivo immunitario. Dove s’instaura il dispositivo immunitario? Nell’intervallo. Spazializzare l’intervallo, erotizzare l’intervallo, indugiare, temporeggiare, utilizzare la riserva mentale e l’omertà sono modi per non instaurare il dispositivo immunitario. L’immunità: ovvero, non farsi carico, non appesantirsi né appesantire l’Altro né caricare l’Altro; non gravarsi, non gravare l’Altro; non assumere rappresentazioni. In particolare, immunità è l’assenza di una negativa del tempo.
L'immunità è del tempo. L'immunità: ciò per cui il tempo è prezioso. Il tempo è prezioso solo se è immune. Se è pesante, se è soggetto a fine, a durata, se è malefico, allora è un tempo finibile, un tempo erotizzato, è un tempo spazializzato, un tempo disposto su una linea, soggetto al taglio: un taglio soggetto al taglio.
Questo dibattito intorno al disagio, all’immunità e alla salute è un dibattito oggi insolito in Europa, perché ormai è tutto, apparentemente, mentalizzato e significato. Ormai, la semiologia di queste cose è tanto comunemente accettata, che la gente può anche non rendersi conto di averla mai accettata, che c’è stata qualche volta in cui l'abbia accettata. Come se andasse da sé. Introdurre questo dibattito, traendo pretesto proprio da Düsberg e dalla sua équipe, sparsa dall'America all'Europa, con scienziati che verranno dall’Inghilterra, dalla Germania, dall'Austria, dalla Scandinavia, dalla Francia e dall'Italia, può essere un modo per dire che il dispositivo immunitario è il dispositivo per la salute e che la salute è senza alternativa.
Satana propone a Cristo l'alternativa alla salute. E Cristo non accetta. Cristo non accetta di perdere la fede. La fede opera anche per Cristo. E Cristo non accetta di perderla. E è questa fede a operare.
La fede opera, affinché s'instauri il dispositivo immunitario, s'instauri il cervello artificiale. La gestione dell’intervallo, senza erotismo, senza spazializzazione, senza omertà, senza riserva mentale, avviene attraverso il dispositivo immunitario. Noi viviamo d’infinito, nell'intervallo. Il dispositivo è questo: trae l’essenziale, anche del suo intervento, dall'infinito, proprio dell'intervallo.
Lucien Sfez ha scritto La salute perfetta. Critica di una nuova utopia (Spirali 1999). Quella che viene propagandata dalla psicotecnologia, dalla psicofarmacologia, dai vari apparati, dalle varie forme di medicina sacramentale o profana, di medicina ufficiale o medicina alternativa, ma, sempre, una salute perfetta, in nome della quale viene spazializzato l'intervallo e viene smarrito il dispositivo immunitario. A un certo punto, un'industria farmaceutica ha bisogno, per esigenze di contabilità, di fatturato, di un nuovo prodotto. Lo crea: diventa una scoperta, mondiale.
Non è un farmaco, è il farmaco. È il farmaco della salvezza. Questa salute perfetta, in nome della quale viene imposta un’erotizzazione dell'intervallo, un annullamento della voce, una sua rappresentazione e in nome della quale viene personificato l'Altro, è una salute penitenziaria. È una salute per penitenti. Una salute drogologica.
Può apparire anche come ideale: e non è meno matricida.
È di un certo interesse discutere con gli scienziati, medici che sono andati avanti nell'apparato, nella loro ricerca, a volte nella loro carriera, nella burocrazia. L'apparato medico è burocratico.
I medici sono, talora, sprovveduti intellettualmente. Se appena fanno un accenno, sulla loro vita, sulla loro struttura intellettuale, sul loro cervello artificiale, sul loro dispositivo intellettuale, sulla loro famiglia, li troviamo, talora, sprovveduti. Il loro apparato è utile. Ma, se divengono interlocutori e se hanno interlocutori, non possono avere come interlocutore l'apparato. Non possono avere come interlocutore soltanto il ministro della sanità, né l'amministratore delegato dell'industria farmaceutica. Non possono avere come interlocutore nemmeno il primo ministro degli Stati Uniti, che diceva: «In breve tempo, noi scopriremo il virus dell’Aids». «In breve tempo, lo sconfiggeremo». Come per lo SMON in Giappone, la cura è letale. La presunta epidemia, scoppiata in Giappone negli anni sessanta, era semplicemente determinata, non come epidemia, ma come morte, malattia e morte, dai medicinali impiegati per curarla.
Quando i medicinali non si sono più impiegati, si sono dileguate la malattia, la morte e l'epidemia. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), il 70% delle malattie vengono attraverso la cura medica, in particolare attraverso gli ospedali. Il modello di ospedale è l'ospedale penitenziario. È il modello. Dovrebbe essere luogo di cura e di salute. Invece, è luogo di malattia e di morte.
La salute intellettuale, salute nella parola, è negata dalla salute mentale, dalla salute quale segno della mentalità, propria al discorso occidentale. La salute è lo statuto di regia. Nel luogo comune, non importa l’istanza della qualità. Importa il segno: della storia, della repubblica, della città. La salute ideale, la salute mentale, impone una salute penitenziaria, che si conclude con la morte. La morte è significata dalla salvezza. La guarigione è parodiata dai discorsi che si presumono causa. Nel «discorso paranoico», è parodiata dalla palingenesi. Nel «discorso ossessivo», la guarigione è parodiata dalla purificazione. Nel «discorso isterico», la guarigione è parodiata dallo stato di salute. Nel «discorso schizofrenico», la guarigione è parodiata dalla macchina telepatica.
Se guarigione è passare da uno stato negativo a uno stato positivo, dal male al bene, entrambi questi stati sono dinanzi, questa guarigione è tributaria dell’esercito della salvezza, si gestisce in nome di una salute ideale. Se, invece, guarigione ha il bene-male come ossimoro, allora il negativo-positivo come ossimoro, come modo dell’apertura originaria, non sta dinanzi, ma sta «alle spalle», è ciò da cui procedono le cose, anziché ciò contro cui s’imbattono, e guarigione è il cammino artistico stesso. In questo senso, abbiamo definito la terapia come vicenda della gloria, come processo artistico verso la scena originaria.
Distinguevamo, nell'Albero di san Vittore (1989), fra il saluto e la salute.
Il saluto sta nella politica del tempo, nell'aritmetica temporale o sessuale. Il saluto e la salute dipendono dal cervello. Il cervello stesso dimora nella parola, cervello artificiale, dispositivo intellettuale.
L'epoca del qui e ora non è l'epoca della felicità, perché la felicità presente, presentificata, non è la felicità. Sarebbe la felicità che ha bisogno di presenza, di rappresentazioni, di significazioni, di ostensioni, ha bisogno di mostrarsi, di farsi vedere. Ha bisogno di tutta una semiologia. Della semiologia della salute. «Le bonheur, la felicità, assorbe così il piacere, la gioia e tutta la gamma di sentimenti piacevoli che un uomo possa sentire»: già dice che la felicità sarebbe un sentimento. «L'individuo è re nella cornice istintiva di un contratto sociale, dove l'espansione di uno non può nuocere agli altri». Ricorre il precetto ippocratico: primum, non nocere. E aggiunge: «Le bonheur ne se décréte pas, il vit dans l’envie». Altri afferma: «Le bonheur, c’est la durée, la joie, c’est l’instant». Questi ha estrapolato da vari scrittori e filosofo. che la felicità doveva essere uno stato duraturo, uno stato di salute duraturo e che, invece, la gioia è l'istante. Che cosa sarebbe l'istante? Ciò che non dura, ciò che finisce. Ma ciò che non dura non è ciò che finisce, è ciò che non finisce. Ciò che non dura, ciò che è senza durata, perché è senza fine. Questo è l'istante nella sua eternità, questo è il tempo nella sua eternità. Il tempo che non ha un inizio e non ha una fine non può essere tagliato.
Il malato terminale sarebbe interessato non già alla felicità, ma alla gioia, quindi al campo del possibile. Siamo ancora qui, a questo problema, a questo fraintendimento, che la salute mentale dipende dalla spazializzazione dell’intervallo, che la salute mentale impone la salute penitenziaria. Mira a rappresentare la voce e a personificare l'Altro. Qui, ci sono addirittura tentativi di definizione: «gioia, accoglienza di un'intensità presente; piacere, divertimento dei sensi» — non significa assolutamente niente, non c'entra niente con il divertimento e i sensi non si divertono, neanche quelli dei diversi, di coloro che si credono diversi — «erotismo, raffinement sexuel». Altri: «Félicité, bonheur sans mélange, généralement calme et durable», questa la felicità del giardinaggio. Altri, poi: «L'assimilazione infine dell’orgasmo a una piccola morte è più rivelatrice di quanto non sembri. Ci sarebbe, tabù supremo, piacere a morire? Possibile». Una visione tardoromantica. Chi è soggetto alla morte è pronto per l'eutanasia, addirittura ha piacere. Che cosa diceva la propaganda nazista, quando doveva eliminare coloro che avrebbero danneggiato l'economia tedesca, la contabilità delle famiglie, dello stato, delle aziende e che essi stessi facevano vedere attraverso vari film di propaganda? Chiedevano ai familiari di aiutarli a morire. Questa era la propaganda. Però, questa non è un'eccezione, è il concetto comune di salute mentale, concetto assolutamente razzista. La salute mentale impone la salute penitenziaria, impone il razzismo su di sé e sull’Altro.
Aristotele scrive: «Contrariamente a tutti gli altri beni, che si cercano in vista di altra cosa, in funzione di altra cosa, la felicità è cercata per se stessa, è il bene supremo». Voi notate qui l'oscillazione nel discorso comune. Dal bene supremo al benessere. Il bene posto dinanzi. E il benessere è fatto di penitenza. Scrive ancora, Aristotele: «È sulla natura e sulla definizione di ciò in cui consiste (il bene supremo o la felicità) che non c’è accordo». Montesquieu: «Bisognerebbe convincere gli uomini della felicità che ignorano, proprio mentre ne godono». Che la felicità sia ignorata può avere qualche interesse: che non sia conosciuta e non possa essere nemmeno desiderata. A questo, tra le righe, si era accostato Baruch Spinoza. La felicità non dipende dal desiderio, sopra tutto non dipende dalla volontà. Non dipende dalla volontà di bene. La salute non dipende dalla volontà. La salute dipende dal cervello, dal cervello artificiale. Ecco, dal canto suo, Jean-Jacques Rousseau: «La felicità che il mio cuore rimpiange non è composta d’istanti fuggitivi, è uno stato semplice e permanente, che non ha niente di vivo in sé, ma la cui durata accresce il fascino, al punto di trovare in esso la felicità suprema». Ricorre lo stesso concetto: la salute che dura è la salute penitenziaria. Immanuel Kant scrive: «La felicità come principio supremo dei costumi è un principio del tutto falso, miserabile, variabile secondo le circostanze. Come indica la dottrina morale cristiana, la felicità costituisce soltanto un oggetto di speranza in una eternità». Qui siamo sempre alla speranza nella felicità, nella salvezza. E ancora: sant’Agostino, Émile Zola, François-René de Chateaubriand. Ma sentiamo il marchese de Sade: «La felicità è soltanto in ciò che agita, e solo il crimine agita. La virtù, uno stato d’inazione o di riposo, non può mai condurre alla felicità». Possiamo discutere di ciascuno di questi amici, Blaise Pascal, André Gide, per fare qualche esempio, oppure il nostro amico Vladimir Jankélévitch.
La domanda «Come stai? » è stupida. Dio chiede: «Uomo (Adamo), dove stai?». «Dove sta tuo fratello?». Alla domanda: «Come stai?» può seguire qualche superstizione, situandosi il viaggio fra il bene e il male. E il dialogo è salvo. Anzi, avete la forma perfetta di dialogo come discorso occidentale. La medicina ideale, la medicina mentale, impone una medicina penitenziaria. «Come stai?» comporta già un elenco di penitenze. La salute è ideale e la sua prolessi è la pena, è l’economia della pena.
«Come stai?» pone già l’interlocutore come soggetto, soggetto alla morte.
L'immunità è la base della comunicazione. E la testimonianza introduce l'immunità del tempo. Dare testimonianza: ovvero, non farsi carico, non prendere a carico, non assumere e non caricare, non gravare l'Altro. Il saluto prescinde da bene e da male. Il saluto stesso è un dispositivo politico.

 
Siti di riferimento
uni.ilsecondorinascimento.com
 
Relazioni
siti di riferimento uni.ilsecondorinascimento.com (Sito)
ha tra i partecipanti Armando Verdiglione (Scrittore, editore, imprenditore, inventore della cifrematica)





 
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