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La lealtà
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Il cifrema è la proprietà della parola originaria. Se ci fosse una proprietà che compendiasse ciascuna delle altre proprietà della parola, questa sarebbe la lealtà. La parola è sacra. La parola è il sacro: la parola, per la sua proprietà, diviene qualità. La parola si qualifica, si cifra. Tutto ciò non rientra affatto nella sacralità. La sacralità è la negazione del sacro. Sacrale è tutto ciò che significa.
Sacrale è il ventesimo secolo, per le sue guerre mondiali, per le sue stragi, per l’Olocausto, per i morti ammazzati dal bolscevismo.
Sacrali sono tutte le discipline, che presumono di portare la vita a significazione.
Se noi indaghiamo, nella letteratura, il significante «lealtà», ci accorgiamo che ognuno ci mette del suo. Ognuno segue la via sacrale, la via della negazione della lealtà. La lealtà non è una proprietà personale né soggettiva né intersoggettiva né sociale né collettiva né nazionale. In particolare nella letteratura, lealtà è accostata a fedeltà, o a patto di fedeltà, oppure al contratto sociale. Abbiamo stipulato un contratto o un patto di fedeltà. Fedeltà situata rispetto all’appartenenza all’origine, alla casta, alla classe, al gruppo, alla genealogia, in breve, al contratto presunto sociale.
Dove sta la lealtà? In ciascuna proprietà della parola e, segnatamente, nella procedura. Lealtà alla traccia, lealtà al sembiante, lealtà all’assoluto, lealtà alla tripartizione del segno, alla trifunzionalità, alla tridimensionalità. Mentre il sacro è l’assioma della lealtà, l’insignificabile è il suo teorema. Le cose, per significare, devono finire: e la pensabilità stessa delle cose è la loro significabilità.
In questo si compendia il discorso della morte. Però, anche i presupposti che, di questo discorso, rimangono nel discorso scientifico a giustificare, a legittimare, a legalizzare, a moralizzare, a significare la scienza.
Le cose si dicono, e non già: io dico le cose. Le cose si dicono: non sta a me la possibilità di dirle o di non dirle. Non è nella mia facoltà dirle o non dirle. La formula di Sigmund Freud si colloca intorno proprio all’assenza di segreto. L’assenza del segreto è l’assenza del sacrale. Non c’è più segreto, non c’è più il sacrale.
Ovvero, le cose che si dicono non si convertiranno mai nel detto.
E le cose che si fanno non si convertiranno mai nel fatto. E così, le cose che si scrivono non si risolveranno mai nello scritto. Non c’è soluzione del dire nel detto, del fare nel fatto, dello scrivere nello scritto. Non c’è più soluzione.
Il principio di sincerità è il principio del sacrale, è il principio stesso del segreto, principio della riserva mentale, principio dell’omertà. “Io dico la verità”: ecco il modo con cui si presenta, si rappresenta il baro. Se esistesse. “Ognuno deve dire la verità”.
Tutta? A metà? Né tutta né a metà né un pezzo di verità. Non è questione di volontà, di volere dire. Il dire non sottostà al volere dire o al potere dire. Non soltanto il fare non sottostà alle modalità, ma neppure il dire! Il volere dire, il sapere dire, il potere dire, il dovere dire. Io devo dire. Io posso dire. Io voglio dire. Io so dire.
Sono altrettante assurdità.
Le cose si dicono. Soltanto se questo dire fosse senza la materia del dire, allora potrebbe risolversi nel detto, perché sarebbe un segmento, inteso in modo algebrico o geometrico. E, quindi, come una linea, come se, dal punto al punto, ci fosse la linea. Dal punto al contrappunto, invece, nessuna linea, ma la combinazione. Da dove vengono le cose? E dove vanno? Nel primo “dove”, il punto, nel secondo “dove” il contrappunto. Da dove vengono? Questo è il punto. Dove vanno? Allora, corpo e scena, il due. Nessuna linea in questo va e vieni, in questo itinerario, in questo viaggio.
E nessun cerchio.
Chi ha immaginato che il narcisismo fosse parlarsi addosso ha immaginato che ognuno fosse animale preso in un cerchio. Ma il narcisismo non è circolare. Il narcisismo è della parola. È qualcosa che la lealtà non contraddice. Non nega.
Qual è la procedura? Le cose procedono dal numero duale e secondo il numero singolare triale. In questo “da” e in questo “secondo” risiede la procedura. E procedono per integrazione. Sicché l’itinerario risulta specifico.
“Io sono sincero, vi dico esattamente quello che ricordo”: questo è il modo di negare la lealtà. “Voglio essere franco con voi”: e segue una negatività prospettata dinanzi. Può essere il manager, il presidente di banca, il diplomatico sovietico. “Voglio essere franco”. “L’incontro tra Chrušèëv e l’assemblea delle Nazioni Unite è stato franco”. La franchezza è il modo in cui la distanza diventa posizione. Ma la distanza è una proprietà del sembiante, non è posizione. “Il nostro è un rapporto franco”, come dire conflittuale.
“Con franchezza, dobbiamo dirci che […]”: e seguono fiumi di negatività, d’insulti. Ma gl’insulti sarebbero un’altra cosa, perché andrebbero tra le varianti dell’ironia: l’invettiva, l’insulto, la beffa.
Il discorso franco è il discorso stesso della morte: “Siamo franchi, dobbiamo morire”.
Lealtà all’assoluto. Lealtà a Dio. Lealtà di Dio? È la questione che si enuncia, tra le righe, nei libri di chi insiste sulla questione del processo a Dio. Allah è stato forse leale, perché le torri sono state abbattute e un aereo è andato sul Pentagono? Dio non agisce. Però, ognuno crede e immagina che Dio agisca.
Ognuno: sia quando è euforico sia quando si abbatte. “Ognuno” non è “ciascuno”. La buona fede o la cattiva fede sono modi di ritenere Dio agente e agibile.
Come cogliere la lealtà, la parola come sacra, senza la tripartizione dell’esperienza? Tale questione, seria, è mai enunciata a Atene o a Roma? O a Sparta? La correttezza sarebbe l’assenza di lealtà rispetto alla traccia della vita. Così anche moralmente corretto, politicamente corretto, legalmente corretto, socialmente corretto. I vari modi della correttezza stanno in questa assenza di lealtà alla traccia. La correttezza, Platone la chiama “nobile menzogna”. Ognuno sa che appartiene all’origine e che il due, il sembiante, Dio, il tempo, l’itinerario, tutto sia da riferire all’origine, alla ricerca dell’origine. Abbiamo sentito una scrittrice egiziana (i suoi libri sono tradotti in quasi tutto il pianeta) dire: “Tutto viene dall’Egitto”. L’origine sta in Egitto, l’origine dell’ebraismo, l’origine del cristianesimo, l’origine, per via diretta, dell’islamismo.
Se noi diciamo che tutti i discorsi sono uguali, intanto abbiamo abolito la parola. Abbiamo abolito il dire nella sua materia, il fare nella sua materia, la scrittura nella sua materia. Abbiamo abolito la materia del dire, la materia del fare, la materia della scrittura. Siamo in grado di spazializzare la parola. Che la parola diventi discorso è questo. Abbiamo spazializzato la parola. L’abbiamo linearizzata, l’abbiamo corretta, l’abbiamo assoggettata al principio di correttezza.
Quali sono i principi di correttezza? Il principio del terzo escluso, il principio d’identità, il principio di non contraddizione, il principio della risposta obbligata, il principio dell’alternativa fra positivo e negativo e della loro conciliazione.
Attenersi alla lealtà è attenersi all’essenziale. Il sacro è questo: le cose si dicono, si fanno e si cifrano.
Il dubbio di sé si radicalizza nel principio del terrorismo. Chi si costituisce come soggetto, chi si lascia prendere dal dubbio di sé in maniera radicale, è terrorizzato e deve terrorizzare, non capisce chi non partecipi a questo terrorismo. La cura di sé, la preoccupazione per sé diventa direttamente proporzionale al dubbio di sé.
Questo terrorismo deve sopprimere l’Altro, rappresentarlo, curarsi dell’Altro. E come si cura dell’Altro? Con l’algebra del tempo, con l’algebra delle cose che si fanno: se sono fattibili o non sono fattibili.
Il principio del terrorismo diventa il principio della fattibilità.
Anche un business plan può essere preparato sul principio del terrorismo, dosato sul principio del dubbio di sé, sul principio di una slealtà fondamentale.
La questione bizantina viene già indagata da sant’Agostino e prosegue dopo, fino allo scisma del cristianesimo d’Oriente, fino alla religione chiamata ortodossa. Qual è la questione? Dio è uno? Dio è l’essere? L’uno è l’essere. Il principio della religione ortodossa è il principio di un compromesso, rispetto a quella che è diventata la retorica fissa, anche se non posta come tale, posta come i principi del discorso occidentale.
Per la religione ortodossa, lo spirito non procede dal figlio, procede dal padre. E il padre è uno, Dio è uno. E il figlio è figlio come noi tutti. Tutti figli. Una dottrina politica. Arcaica. Alessandrina.
L’impero d’Oriente. Costantinopoli, Bisanzio. Poi, la questione bizantina viaggia verso Mosca, città europea e baluardo rispetto al pericolo asiatico.
Con la questione bizantina si discute della tripartizione del segno.
Noi possiamo indagare l’intera linguistica, l’intera semiologia del ventesimo secolo, il formalismo russo e noi ritroviamo questa dottrina, che non accetta la tripartizione del segno. Noi abbiamo esposto, studiato, discusso, negli anni settanta, abbiamo lanciato una provocazione enorme su scala planetaria. Anche negli anni sessanta, abbiamo studiato gli scritti prodotti in Unione Sovietica e, prima ancora, il formalismo russo, fino ai semiologi, fra le due guerre mondiali e dopo la seconda guerra mondiale, fino ai più recenti. Leggere gli scritti di teologia e, poi, gli scritti di linguistica, di semiotica, di semiologia, di antropologia, di psicologia: la negazione di Dio, che passa sotto il nome di ateismo, fino alla dedica di un tempio, di un museo, il museo dell’ateismo a Leningrado, costituisce una versione radicale dello stesso scisma.
Lenin leggeva Hegel e Marx, in vista dell’azione. “Dunque, agiamo”.
È nella procedura la questione della lealtà come questione intellettuale.
Se il padre è uno, il figlio è negato. Questa l’indifferenza rispetto alla vita degli umani. Hitler aveva la religione della purezza, che nega il tempo, l’Altro a profitto dell’idea della macchia, del peccato, del male, dell’incesto, della negativa del tempo.
Immacolata è l’inconcezione. La generazione non è un concetto.
La sessualità non è un concetto. L’annunciazione come parricidio o l’annunciazione come sessualità non sono concetti. L’indicazione temporale — la madre, l’Altro e la morte — si radicalizza con il protestantesimo, e con la cosiddetta filosofia romantica.
Noi facciamo: invenzione e arte. Invenzione propria al fare e arte del fare. L’intelligenza è pragmatica. Nessuna razionalità senza racconto. Nessuna comunicazione senza razionalità. Ma noi ci siamo imbattuti in una razionalità estranea al discorso della ragione, in una razionalità altra, in una razionalità nuova.
I dispositivi s’instaurano attenendosi alla procedura, alla lealtà, al sacro. L’interlocutore non è mai l’Altro. Ciascuno s’instaura come interlocutore, come dispositivo, come statuto intellettuale.
L’interlocutore non si rappresenta, né rappresenta l’Altro! La lealtà all’assoluto nulla ha da spartire con il patto di fedeltà, con una fedeltà che dipenda dalla genealogia, dal rapporto sociale.
Noi, voi e loro non stiamo nella relazione, non ci situiamo nella relazione: altrimenti, l’animalità circolare sarebbe già costituita.
“Eccoci tra noi due”: questa l’ironia. “Noi due”: già introduciamo il finito, ci assegniamo i limiti e incominciamo a dire chi rappresenta il più e chi rappresenta il meno, chi rappresenta il positivo e chi rappresenta il negativo, chi il nord e chi il sud.
Lealtà: anche alla logica funzionale. Lo zero funziona, l’uno funziona, l’Altro funziona. L’Altro non truffa, non ruba, indica, ride. L’Altro truffa? Questa l’algebra dell’Altro. L’Altro ruba? Questa la geometria dell’Altro. L’algebra del tempo, dell’altro tempo.
E la geometria del tempo, dell’altro tempo. Lealtà alla rimozione.
Lealtà alla resistenza. Lealtà alla funzione di Altro.
Assioma della lealtà: la parola originaria è il sacro. Come si enuncia il sacro? Le cose si dicono, si fanno, si narrano, si scrivono, si qualificano. Teorema della lealtà: le cose non significano, perché non finiscono.
E ancora: lealtà alla questione donna. Lealtà al nome che funziona, anonimo e innominabile. E lealtà alla differenza assoluta, all’enigma della differenza assoluta e della varietà assoluta. Sicché, non c’è più sfinge.
L’inghippo fondamentale degli umani, inghippo psicotico, sta nel matricidio. Persino l’idea della morte del padre o della morte del figlio diventano un corollario dell’idea del matricidio. Qual è l’idea del matricidio? È l’idea di uccidere la madre? È l’idea che la madre uccide i figli? È l’idea che la madre uccide. È l’idea della funzione di madre. Abolendo la materia della parola, la materia del dire, la materia del fare, la materia della scrittura.
Il mito del padre e il mito della madre procedono dalla famiglia come traccia dell’interdizione linguistica. Le cose si dicono, si fanno, si cifrano.
Senza la Pentecoste nessuna finanza, nessuna diplomazia, nessuna musica, nessuna strategia, nessun programma. Ditemi: come può enunciarsi un programma, senza la lucidità? Lo affidiamo ai tecnici? Ciascuna nozione fa parte del materiale che deve essere trasposto. Deve raggiungere la Pentecoste, quindi il programma.
Nella tribù, dove sia sorta l’idea di possesso, di messa a morte del nome, tutti si divorano tra loro. Ognuno divora ognuno. Coalizioni che variano, ma sempre per divorarsi, in nome dell’abolizione del nome. Nessun ritmo può instaurarsi, nessun appuntamento.
E guai, in questo caso, a quel presidente che dia un indizio, in un solo istante, di essere contento per qualche quisquilia, perché deve soffrire.
8 dicembre 2001
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