Marek Halter è nato in Polonia nel 1936. A cinque anni evade con i genitori dal ghetto di Varsavia e raggiunge la Russia sovietica. Kolchoziano a otto anni, apprendista guerrigliero a quattordici, manca la partenza dell'Exodus e nel 1950 arriva in Francia dove incomincia a dipingere. Espone a Parigi, a New York, a Tel aviv, e riceve premi internazionali. Il conflitto arabo-israeliano lo sconvolge: alla vigilia della guerra dei sei giorni crea il comitato internazionale per la pace negoziata in Medio Oriente bussando alla porta di dirigenti arabi e israeliani: Golda Meir, David Ben Gurion, Hassanein Heikya, Abu Ayad e altri. La sua avventura in Medio Oriente è narrata nel libro «Le fou et les rois», premio Aujourd'hui 1976. È tra i fondatori del movimento Sos Racisme. Con la casa editrice Spirali ha pubblicato «Argentina Argentina» (1982), «Abraham» (1985), «Il folle e il re» (1988), «Un uomo, un grido» (1992), «Il Messia» (1998), «La mia ira» (2008). In questi giorni è in libreria «La regina di Saba».
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È stato tra i fondatori di Sos Racisme. Il suo straordinario percorso di vita, e di scrittura, s'intreccia con pagine di storia. La storia del Medio Oriente. Tra gli scrittori ebrei contemporanei, Marek Halter ha un posto di primissimo piano. Halter è in questi giorni in Italia per presentare la sua ultima fatica letteraria «La Regina di Saba» (Spirali). Un romanzo affascinante.
Speranza. Cambiamento. Parole-chiave nel vocabolario politico di Barack Obama. Il neo presidente Usa parla di un mondo senza più Muri, né armi nucleari, di un Medio Oriente senza più oppressi e oppressori. È un sogno destinato a rimanere tale? «Chi non nutre speranze per il futuro, chi non sogna non riuscirà mai a realizzare qualcosa, ad avere un peso nella storia. Per questo motivo penso che sia estremamente positivo avere un presidente di un Paese così importante capace di credere in tali sogni e di incarnarli. Il predecessore, George W. Bush, era il contrario di Obama, aveva un sogno "inverso". Ha voluto imporre la democrazia con la forza. Credo che i sogni di Obama non potranno realizzarsi al 100% ma se vi sarà anche un inizio di realizzazione, vorrà dire che avremo compiuto un grande passo in avanti».
Nei suoi libri Lei racconta passioni e sentimenti forti. Ed esprime la necessità di ascoltare e compenetrarsi con «l'altro da sé». Nel mondo però cresce l'insofferenza, l'odio contro le minoranze etniche, culturali, religiose. Come far fronte a tutto questo? «La crisi economica che il mondo intero sta affrontando e che porterà milioni di individui a perdere il lavoro non potrà che fomentare la xenofobia, accrescere il razzismo, aumentare l'antisemitismo. Quando qualcosa non va per il verso giusto, scatta immediatamente la ricerca di un capro espiatorio. Quando non c'è lavoro, la colpa viene automaticamente data allo straniero, all'immigrato, colui che sembra averti preso il tuo posto. Stiamo entrando in un periodo storico delicato e pericoloso. Un periodo simile alla crisi degli anni Trenta che ha poi portato alla Seconda guerra mondiale. Ma la storia, come diceva Aristotele, non è una scienza esatta. Gli eventi non si ripetono identici tra loro. Possiamo trarre una lezione dalla storia ma non possiamo leggerla e anticiparla come se il futuro fosse semplicemente un riflesso perfetto del passato. Le offro un piccolo e recente aneddoto personale. A Parigi, nel 19esimo arrondissement, abitano numerosi francesi di origine africana e numerosi ebrei religiosi. Dall'inizio dell'anno, ci sono state innumerevoli risse tra giovani neri e giovani ebrei, tanti feriti e perfino un morto. Ho chiesto al sindaco dell'arrondissement di riunire per me gli studenti delle scuole del quartiere. Così, alla fine dello scorso febbraio, mi sono ritrovato davanti a circa mille giovani, molti neri e molti ebrei che portavano la kippà. Sono andato a trovarli con i miei amici dell'Associazione Noirs de France. All'inizio ho sentito in questi giovani una forte ostilità nei miei confronti. Credevano che volessi impartire loro una lezione di morale. In realtà mi sono limitato a parlare del mio libro La Regina di Saba. Mi hanno ascoltato per un'ora e mezza, affascinati, hanno posto domande. Ho concluso dicendo: "Vedete... non siete diversi... Siete uguali..." Il Regno di Saba, da Menelik I fino a Haile Selassie, destituito dai fascisti italiani, era grande e potente proprio perché era costituito da neri ebrei. Ancora oggi, in tutte le chiese etiopiche c'è una Stella di Davide. Questo incontro è stato ampiamente mediatizzato in Francia e, a quanto ne so, da quel giorno non ci sono più state risse».
Nella sua vita Lei ha più volte incrociato le vicende storiche d'Israele. Cos'è oggi per Marek Halter Israele ed è ancora possibile una pace giusta, duratura fra israeliani e palestinesi? «La pace è possibile. E poi la logica vuole che le guerre, tutte le guerre si concludano con la pace. Anche la Guerra dei cent'anni, tra cattolici e protestanti, è sfociata in accordi di pace. Dieci giorni fa ero a Gaza con un gruppo di rabbini e di imam. La mia prima tappa è stata Sderot, una città israeliana dove i bimbi vivono ancora nei rifugi per non essere colpiti dai razzi palestinesi. Ho dimostrato ai dirigenti di questa regione che i due popoli sono molto più vicini alla pace di quanto si voglia credere e far credere. A Gaza per esempio, due mesi dopo i bombardamenti israeliani, nessuno insultava i rabbini che viaggiavano con me. Anzi... La popolazione era commossa davanti a questi religiosi con la kippà che distribuivano regali ai bambini palestinesi. Sono fermamente convinto che prima della fine dell'anno ci saranno delle sorprese positive in Medio Oriente e questo nonostante il governo di destra da poco insediato in Israele».
I più affermati scrittori israeliani contemporanei continuano a battersi per il dialogo. Guardando oltre i confini d'Israele, e venendo anche al cuore dell'Europa, come difinirebbe oggi il rapporto tra intellettuali e politica? «Ho sempre pensato che la democrazia, come l'intendiamo noi in Occidente, non sia nata ad Atene ma a Gerusalemme. La democrazia ateniese si rivolgeva alla stessa classe sociale. Donne, stranieri, schiavi ne erano esclusi. Platone - in La Repubblica - voleva perfino escludere gli artisti che considerava dei bugiardi. La democrazia biblica invece era fondata sulla divisione tra la religione e la politica. Mosè si occupava della politica e suo fratello Aronne della religione e della società civile. Quest'ultima era rappresentata dai profeti che si permettevano, se necessario, di criticare i rappresentanti del potere religioso e del potere secolare. E lo facevano al rischio della propria vita. Il Profeta Isaia, per esempio, per sfuggire a chi lo voleva punire per la sua autonomia e per la sua attività profetica, si nascose in un albero che venne segato in due dalle guardie che gli stavano dando la caccia. Oggi, in Israele, ci sono degli intellettuali notevoli che fanno lo stesso lavoro portato avanti dai profeti dell'Antichità. Ma forse i profeti del presente sono un po' invecchiati, un po' polverosi e si assumono troppi pochi rischi... Anche se sono legato da una forte amicizia a molti di loro, non Le nascondo che sto aspettando una nuova generazione di profeti. Per quanto riguarda l'Europa, il conflitto israelo-palestinese può ulteriormente esacerbare l'antisemitismo e il razzismo. Le associazioni concettuali pericolose sono oggi innumerevoli. Durante i bombardamenti a Gaza, nelle strade di Parigi si manifestava in solidarietà con i palestinesi e si gridava "Morte agli ebrei". È proprio ora che dobbiamo dimostrarci veramente prudenti e vigili».
Scrittura e pittura sono strettamente intrecciate nella sua vasta e acclamata produzione artistica. Come è riuscito a "fondere" queste due attività creative? «La domanda è pertinente ma in realtà quando ho incominciato a scrivere, ho smesso di dipingere. Ho "scambiato" la mia attività con mia moglie... Quando ci siamo conosciuti lei era la scrittrice di casa. Quando ho cominciato a scrivere anche io... ha deciso di smettere sostenendo che due scrittori in una coppia erano troppi. Così da anni racconto storie e lei dipinge, crea e su ogni sua opera scrive, in tutte le lingue, la parola "pace". (Umberto De Giovannangeli)
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