Si può sfuggire alla schiavitù solo accettando di darsi delle regole
di MAREK HALTER
È strano, ma il problema della libertà è sempre attuale. Una volta dissi a un pakistano che ero cresciuto sul confine dell'Uzbekistan, dove si moriva di fame, così abbiamo incominciato a parlare fitto fitto di cibo, finché lui mi ha detto: «Si parla sempre di ciò che non si ha». Si parla sempre di libertà perché la libertà non c'è. Ho accompagnato il presidente Sarkozy all'aeroporto di Parigi per andare a ricevere Ingrid Betancourt. L'abbiamo portata all'Eliseo, dove ha parlato di libertà davanti a tutti quelli che per lei si sono battuti. La libertà è un bisogno esistenziale, lo si scopre quando ci si batte perché qualcuno la ottenga: non lo si fa tanto per l'altro, quanto per sé. Quando Ingrid Betancourt parla di libertà, io capisco ciò che vuol dire. Intende il contrario di quello che ha vissuto. Un prigioniero sogna di liberarsi dalla schiavitù. Per lui è chiaro: quando gli si aprono le porte della prigione, pensa di essere passato alla libertà. Ma per noi, che non siamo in prigione, che non siamo ostaggi, che cos'è la libertà? La Bibbia racconta una storia magnifica. La storia di Mosè. Gli ebrei sono schiavi in Egitto. Lavorano, costruiscono piramidi, finché Dio sente le loro grida di supplica. Allora, Mosè libera gli ebrei dalla schiavitù e loro, felici, danzano e cantano. Sono tanti, uomini, donne e bambini che attraversano il mare, il deserto e si ritrovano liberi nel Sinai. Più di due milioni di persone, un mondo in confronto al Kosovo o ad altri piccoli Paesi indipendenti. E che cosa fanno gli ebrei liberi? Un anno dopo tornano in schiavitù. Quando si è liberi occorre decidere, lavorare, procurarsi cibo e acqua, bisogna organizzarsi, trovare regole di coesistenza tra le persone, stabilire chi giudicherà cosa è bene e cosa è male. Un tempo c'erano i padroni: non c'era bisogno di pensare. Bastava lavorare. Così, gli ebrei dicono a Mosè: «Ma perché ci hai fatto uscire dall'Egitto? Riportaci lì. Qui moriamo di fame. È dura la libertà». Mosè si interroga, non aveva previsto tutto questo, e capisce: perché gli uomini si sentano liberi, ci vogliono delle limitazioni. La libertà ha bisogno di costrizioni. Il seguito della storia è noto: il Monte Sinai, la salita di Mosè per incidere le tavole della legge (ossia della libertà). Non si tratta delle regole giuridiche del Paese di Sarkozy o di Bush o di Berlusconi. Sono i principi che permettono agli uomini e alle donne di vivere insieme senza calpestarsi l'un l'altro, senza mangiare a scapito degli altri. Nei dieci comandamenti, Mosè non parla di amore. Dice soltanto: «Amerete il vostro Dio», e basta. Parla di rispetto. Rispettare il padre e la madre. Rispettare l'altro, perché l'amore spesso è una forma di sottomissione. E questa è la grande invenzione del cristianesimo: l'amore. Ma può essere sottomissione alla passione e alla gelosia, come in Shakespeare. Il sentimento è fuori della legge: «Rispetterai». Si può anche rispettare qualcuno che non si ama e si può amare qualcuno che non si rispetta. Non esiste libertà senza il rispetto degli altri. Quando Mosè scende dal Sinai, trova gli ebrei schiavi, che danzano intorno a un vitello d'oro. La dimenticanza di un sogno, di un progetto collettivo, accade in un baleno. Mosè spezza le tavole della legge e risale per inciderne una copia. Ma non si tratta semplicemente di una copia. Molti leggono la Bibbia senza accorgersi della differenza. Si tratta sempre dei dieci comandamenti, ma come si spiega il fatto che nella prima versione si dice: «Per sei giorni lavorerete e riposerete il settimo»; mentre nella seconda si dice: «Vi riposerete il settimo giorno in memoria della vostra schiavitù in Egitto»? La prima versione è in rapporto a Dio. La seconda è in rapporto all'uomo. L'uomo, per capire che cos'è la libertà, deve capire la propria storia, la sua evoluzione. Da dove vengo? Chi ero prima? Qual è stata l'esperienza? Noi eravamo tutti schiavi in Egitto. Tutti. In Egitto o altrove. No bisogna dimenticare di essere stati schiavi, perché quando si dimentica il contrario della libertà, non la si desidera più. E si finisce per ritrovarsi in un'altra forma di schiavitù. Ingrid Betancourt è stata un esempio. Ci siamo mobilitati per lei perché così è diventata un simbolo della privazione della libertà. La compassione, la famosa compassione cristiana, è qualcosa che riguarda Cristo, ma quando Cristo scende dalla croce, è un'altra cosa. Non ci si può identificare con milioni di infelici o di morti. Sono cifre enormi, non si vedono i volti. Invece qui c'è un volto, quello di una donna. Un volto ci spinge a reagire. Ma bisogna trovare il volto giusto. Non tutti i volti sono adatti a rappresentare il mondo. Ora che lei è libera, è necessario passare il testimone. Mi batto da anni per la liberazione, per avere più giustizia. È semplice scendere in strada e urlare: «Libertà!». Ma come si giunge a ottenerla? Come si arriva a preservarla? Come si impone la giustizia? Le regole dei Paesi non sempre corrispondono alle leggi universali. Io spesso critico la politica di Israele, pur essendogli amico. Ma se c'è una cosa buona di Israele, è il rispetto della vita umana. Israele non ha mai abbandonato nessuno. Neanche un corpo fatto a pezzi. Neanche un brano di pelle. Raccolgono i pezzetti di pelle umana perché ciascuno di noi è a immagine di Dio. Non importa il colore della pelle, ma la pelle va raccolta. Per riavere i corpi dei soldati Regev e Goldwasser, rapiti e uccisi da Hezbollah, sono stati liberati in cambio tanti terroristi prigionieri. È una grande lezione di umanità. Negli ultimi anni si vanno perdendo i valori biblici universali. Il nostro mondo è molto più complesso di cento anni fa. Il XX secolo è stato un secolo di orrore, ma la gente distingueva il bene e il male. Ora le cose non sono più così chiare e lo saranno sempre meno. Forse il male è sotto il tavolo, qui al mio fianco o per la strada. Come nella Bibbia Amalech assume un volto nuovo ogni volta. Uno di questi è il razzismo. Siamo in tanti sulla terra, nascono miliardi di persone condannate a morire di fame. Perciò molti si mettono in marcia, fanno peregrinazioni lunghissime per salvarsi. Nemmeno la bomba atomica potrebbe fermarli. La gente ha paura dell'immigrazione, ma sbaglia. Basti pensare all'impero romano. I barbari l'hanno fatto crollare, e non hanno dovuto combattere a lungo perché erano popoli affamati, emigrati in massa. Si sono installati e sono divenuti la maggioranza della popolazione. Hanno sposato le romane e, forse, anche Michelangelo era un barbaro. Così nascono le civiltà. Non si tratta di fare concessioni sui valori. C'è un segnale che fa riflettere. Penso a quanto accade nel Golfo Persico: a Dubai e nel Barhein, ci sono uomini di 20-30 anni con le donne velate, arricchiti grazie al petrolio. E che cosa fanno con il denaro? Comprano la nostra cultura. Comprano il Louvre. Comprano i grandi teatri, le grandi biblioteche, le grandi università. E i loro nipoti si porranno la questione della libertà come facciamo noi. Questa è la forza dell'umanità.
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