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Due o tre regole sicure per vivere felici nella Russia di Putin


  
 
Notazioni

- «Quando scrissi Il buon Stalin molti compagni presero il titolo alla lettera. Era una provocazione».

- «La Russia di oggi è il Paese più libero del mondo. Puoi andare in chiesa o fare le orge, in casa tua sei il padrone».

- «Vorrei rompere l'incantesimo di quella favola magica che si chiama Russia. Ma i russi non vogliono».

SENAGO (MILANO). «La Russia? È il Paese più libero del mondo. I singoli individui dispongono di una libertà quasi assoluta, che nella nostra storia non si era vista mai. Si può leggere qualunque libro, andare in chiesa o alle orge, essere buddista o mandare i figli alla scuola cinese, fare il monaco o predicare la rivoluzione sessuale. Che tu sia seguace di Jung o di Dostoevskij, la tua libertà individuale non ha confini. Ma c'è un prezzo da pagare. Putin ha proposto al Paese un tacito scambio, di cui l'Occidente nulla sa: "Voi non ci tradite, siate leali, e noi vi garantiremo la libertà di fare quello che volete a casa vostra e nelle vostre dacie. E i russi hanno accettato lo scambio». Seduto nella sua stanza d'albergo durante i lavori del festival della Modernità dell'editrice Spirali sul tema della democrazia, tra pacchetti di sigarette ormai vuoti e bustine di tè consumate, Viktor Erofeev racconta la sua Russia. Lo fa con quel piacere iconoclasta che lo rese famoso sin dal suo primo romanzo, La bella di Mosca, e con quel gusto sottile della provocazione che ne ha fatto lo scrittore russo più amato in Occidente.
Ma allora ci siamo sbagliati, Signor Erofeev? Anche Anna Politkovskaja si sbagliava?
«Non mi fraintenda. Anch'io penso che la libertà di informazione si sia ridotta negli ultimi tempi. Ci sono solo pochi giornali e una sola radio, Ekho Moskvy, che si permettono di criticare il potere. Ma il punto è un altro. Da noi, oggi, ci sono due o tre temi tabù, di cui non si può parlare e non si deve scrivere: la guerra cecena e i problemi del Caucaso; e la droga. Sono argomenti che fanno parte della cosiddetta sfera morale del presidente. Se osservi questo limite, però, non esiste più censura. Soprattutto, non esistono divieti nella tua vita privata. Può sembrare contraddittorio, ma non lo è. Del resto, da noi, ogni faccenda offre due volti. Il passato non ha avuto il tempo di andarsene e il presente non ha avuto quello di arrivare. Tutto è accaduto troppo in fretta. Così, sono costretti a convivere. Nella città di Khabarovsk, in Siberia, per esempio, la piazza principale è chiamata "della Cattedrale e del Komsomol": da una parte c'è la chiesa ortodossa ricostruita; dall'altra il monumento del giovane comunista membro del Komsomol che a suo tempo la demolì. È la nostra vita. Due Russie nella stessa piazza».
Lei, Viktor Vladimirovic, ha la nomea dello scrittore scandaloso, anticonformista, quello che rompe sempre gli schemi.
«In patri io sono il nemico numero uno della cultura russa, per i comunisti e per i nazionalisti, ma anche per i liberali. Perché cerco di raccontare le cose come sono. È questo lo scandalo».
Lei, però, no si tira indietro. L'anno scorso tutta Mosca non parlava d'altro che del suo articolo sul giornale GQ, in cui sosteneva che le ragazze russe sono le migliori in una particolare pratica sessuale.
«Sì, è così, ed è la verità. In questo le donne russe sono molto più brave della gran parte delle straniere. Nell'articolo dicevo che quando guardo negli occhi una donna, sorridendo, penso sempre a come lo fa. In effetti, ha fatto scalpore. Ma il fatto che sia uscito e abbia aperto un dibattito è segno di libertà».
Anche il suo ultimo libro Il buon Stalin, da poco uscito in Italia, ha fatto molto rumore in Russia. Eppure è una storia vera, la storia di suo padre, che fu consigliere e interprete di Stalin, e poi ambasciatore.
«Questo libro ha scatenato uno scandalo inaudito. Intanto per il titolo. I veterani comunisti, tutti contenti, dicevano: "Finalmente un libro giusto". E io rispondevo: "Compagni, non comprate questo libro, che vi viene un infarto". La Russia non ha capito subito che era un titolo provocatorio, mentre, al solito, l'Occidente ha colto immediatamente l'essenza di questo romanzo che è letteratura, sì, ma ha una dimensione in più, quella della storia di famiglia. Ho voluto raccontare un'epoca attraverso una vicenda vera, un dettaglio che descrive una società e un periodo storico. E ho cercato di farlo con lealtà, anche con affetto, ma guardando il bene e il male».
I suoi come lo hanno accolto?
«Questo sì che è stato duro. Mia madre e mio padre si sono sentiti scoperti, come se li avessero esposti al pubblico in veste da camera. Come se avessi aperto porte e finestre per lasciare che gli estranei sbirciassero i segreti di una casa chiusa, del servizio diplomatico sovietico. In modo troppo franco, per loro sconveniente. In breve, mi hanno tolto il saluto e per un anno e mezzo non ci siamo parlati. Fui costretto a chiedere scusa sulle pagine di Moskovskie Novosti. Mettere in piazza la vita privata della propria famiglia è sempre stato un tabù, in ogni cultura. Anche se mio padre ne viene fuori come una figura eroica. Insomma, vi do un consiglio. non scrivete libri sui vostri genitori».
Sarà per questo che l'Unione Sovietica, prima, e ora anche il "regime libero" di Vladimir Putin, come dice lei, non l'hanno mai amata? Troppo dissacrante?
«Mi piace scoprire le carte in tavola. Ma abbattere i tabù ha un costo, e per questo sono considerato uno scrittore blasfemo, che distrugge le fondamenta della cultura russa. Io vorrei solo rompere l'incantesimo di quella favola magica che si chiama Russia. Ma i russi non vogliono, loro vogliono la favola».
(Fiammetta Cucurnia)

 
Relazioni
eco di stampa di Viktor Erofeev (Saggista, critico letterario)





 
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