La drammatica situazione riportata nel libro «La sicurezza alimentare in Cina»
Se avete deciso di andare in Cina portatevi dietro la "schiscetta". O almeno un panino. Le gallette e due scatolette di tonno, se il viaggio lungo. Ma non azzardatevi a fare un pit stop da un venditore ambulante di baozi, né di mangiare al ristorante i tipici xiaochi, come la zuppa di pesce in agro del Guizhou o il granchio piccante fragrante, o le lumachine d'acqua dolce fasuolo, né, ancora, di cucinare voi stessi un arrosto di carne di maiale acquistata in loco, tanto meno in un supermercato. Perché i baozi potrebbero essere ripieni di cartone, nella zuppa di pesce in agro potrebbe esserci il papavero da oppio o addirittura la morfina (per attirare i clienti e fidelizzarsi; nella regione del Guizhou per questo motivo sono stati chiusi 215 ristoranti), e comunque il ristoratore potrebbe usare sale industriale (quello che si usa come anticalcare nelle caldaie, per intenderci). Mangiando il granchio rischiate seriamente di prendervi l'amebiasi e, preferendo le lumachine, finireste per assumere anche i loro parassiti. Cucinando la carne di maiale, invece, un'intossicazione da clenbuterolo, anabolizzanti e ormoni vari è quasi una certezza. E non pensate di cavarvela mangiando solo riso e tofu, perché non andrete molto lontano. Neppure una dieta strettamente vegetariana, a base di boccioli di giglio e di verdure fermentate del Sichuan, potrebbe esservi di grande aiuto. Il riso che mangiate potrebbe essere quello "per contadini operai" (pieno zeppo di aflatossine) e il tofu potrebbe avere parametri nutrizionali talmente alterati da essere paragonabile all'acqua fresca. I delicati boccioli di giglio potrebbero contenere anidride solforosa per valori 200 volte superiori ai limiti e pirosolfito di sodio, mentre le verdure potrebbero essere state fatte fermentare in una salamoia di sale per industri e irrorate di DDVP per sterminare gli insetti che proliferano attorno alle vasche. E per farvi coraggio non cedete alla tentazione di un bicchierino: peggiorereste la vostra situazione. Capita spesso che vi ritroviate a sorseggiare un intruglio di alcol (talvolta puro metanolo) e coloranti. Comunque nemmeno bevendo solo acqua o succo d'arancia andreste molto lontano: l'80% delle tubature di acqua del Paese sono fatte di puro piombo e nel succo potreste trovare moltissime cose, tranne che l'arancia. No, l'unica soluzione per noi europei, allevati a controlli e autocontrollo, è il pranzo al sacco. Si sa che quando si intraprende un viaggio bisogna aprirsi alle tradizioni del Paese ospite e che la cucina è uno degli aspetti più importanti della cultura di una civiltà. Ma a tutto c'è un limite. Cosa direste se scopriste che la salsa di soia con cui avete abbondantemente innaffiato il vostro pasto è a base di capelli umani? Già esiste, infatti, un florido commercio di capelli che comincia nei saloni dei parrucchieri e termina negli stabilimenti alimentari in cui si ha la trasformazione dei peli umani in "acqua di capelli", un liquido ad elevato contenuto proteico. Questa incredibile storia è venuta alla luce quando in Gran Bretagna hanno scoperto che il 22% dei campioni di salsa di soia prelevati dal commercio nazionale e analizzati contenevano il 3-MCPD, sostanza cancerogena utilizzata, appunto, per trasformare i capelli in "acqua di capelli". Gli inglesi non si sognavano certo di cercare capelli umani nelle bottigliette analizzate; la storia dei capelli è emersa a posteriori, proprio in seguito al ritrovamento di tracce di 3-MCPD. Degli innumerevoli e fantasiosissimi casi di sofisticazione alimentare riportati dall'autore del libro "La sicurezza alimentare in Cina" (Edizioni Spirali, Milano, 2008) quello dei capelli nella soia non è l'unico che noi occidentali (ma anche parecchi cinesi) potremmo porre nella categoria cannibalismo. C'è anche il caso dei ristoranti di Herbin che sbandierano il loro piatto più prelibato: la placenta umana, fornita dagli ospedali cittadini con certificazione "esente da epatite B e altre malattie contagiose". D'altra parte, in molti ospedali provinciali si registrano ingenti e misteriose sparizioni di placente. È che in Cina - e soprattutto a Canton - va per la maggiore la credenza che per nutrire o guarire un organo si debba mangiare lo stesso organo; di solito di un animale, ma non sempre a quanto pare. «In Cina, un terzo dei tumori è causato dal cibo». Lo ha detto nel 2001 il dottor Chen Junshi - che lavora sia presso l'Istituto di nutrizione e di sicurezza alimentare sia presso il Centro di prevenzione e controllo delle malattie - alla conferenza sulla sicurezza alimentare tenutasi a Pechino. E non si tratta, come in Occidente, delle conseguenze di una dieta sbilanciata e scorretta. In Cina la questione è legata alla contaminazione degli alimenti, alla loro pessima qualità, ai residui presenti in quantità inimmaginabili. Il numero di ammalati di cancro all'intestino, al collo dell'utero o di tumore alle ovaie è in forte crescita, e, secondo le autorità sanitarie, a Canton tale incremento è strettamente correlato all'alto assorbimento di pesticidi, additivi, conservanti e sostanze stimolanti la crescita presenti negli alimenti. «La sicurezza alimentare è in pericolo. Tra cinquant'anni la maggior parte della popolazione del Guangdong perderà la capacità di riprodursi». Lo ha affermato il professor Zhong - rappresentante di una zona della città di Canton - al congresso dell'Assemblea Nazionale del Popolo del 2004. Alcune statistiche riportano che già attualmente la fertilità dei cinesi si è ridotta e una coppia su otto è sterile; la densità degli spermatozoi nell'uomo è sensibilmente calata, tanto che vengono considerati normali valori pari a circa la metà di quelli di 50 anni fa. D'altra parte il consumo di ormoni a fini anabolizzanti per pesci, maiali, pollame e altre specie è notevolissimo. Le tartarughe trionyx sinensis vengono pompate talmente tanto che vengono macellate a 2-3 mesi di età, quando hanno raggiunto dimensioni che un tempo raggiungevano in circa 2 anni. I cinesi per rinforzarsi sono soliti mangiare molte anguille e tartarughe. Per la loro tradizione, infatti, sono sinonimo di vigore. E così possiamo immaginarci le premurose nonnine che rimpinzano l'adorato unico nipotino di cibo a base di questi ingredienti: un'immagine che fa venire i brividi. Negli allevamenti ittici, all'inizio di ogni ciclo, si stendono sul fondo delle vasche - oltre che un omogeneo strato di ciprofloxacina - le pillole anticoncezionali distribuite dal Governo per il controllo demografico: in questo modo gli allevatori non devono nemmeno pagare gli anabolizzanti! Gli effetti terribili di queste pratiche di allevamento criminali si fanno sentire anche e soprattutto nei bambini, colpiti in numero sempre più grande da sessualità precoce. Maschietti di sei anni con la barba e femminucce di sette anni e mezzo già sviluppate pare non siano poi così rari a Pechino. In media, la prima mestruazione nelle ragazze cinesi compare addirittura a 10 anni, mentre negli anni '20 del secolo scorso avveniva a 14. Dati, questi, che quando nel 2004 si sono diffusi in città hanno generato grande scandalo, ma per il Governo si trattava solo di dicerie. Condizioni igieniche molto carenti in Cina sono ancora una situazione diffusa. L'autore afferma che tutt'oggi la diarrea originata da alimenti sia una delle principali cause di morte nei bambini cinesi. E riporta di innumerevoli casi in cui l'assenza delle più elementari norme di igiene si associa all'assenza di buona creanza: nei ristoranti l'olio della frittura viene riciclato per il cliente successivo, il brodo della fonduta cinese (a base di pesce bollito) viene servito e riservito per più volte a più clienti "perché diventa più buono". Nei piccoli laboratori di produzione - privi di concessioni e di norme igieniche basilari - non si lavano gli attrezzi, le materie prime vengono accatastate qua e là, talvolta non c'è nemmeno il pavimento e gli operatori sguazzano nel fango. Si tratta di operatori privi di libretto sanitario, sottopagati e sfruttati, che spesso, per protesta, non seguono alcuna buona prassi produttiva, nemmeno quelle dettate dal buonsenso. Per la legge cinese i prodotti scaduti devono essere ritirati dalla ditta produttrice, che deve farsi carico della loro distruzione. Va da sé che, spesso, le aziende si limitano a sostituire l'etichetta della confezione, che così può tornare in circolazione. Nessuno controlla, avverte allarmato l'autore. L'ispezione degli alimenti è una voce poco interessante nel bilancio di province e regioni, i mezzi con cui viene praticata sono spesso molto antiquati e, soprattutto, non c'è ancora la volontà politica di eliminare dal mercato i prodotti e i produttori non in regola. E quindi capita che il salmone crudo del mercato sia contaminato da Listeria monocytogenes e che le conchiglie di genere nassariidae acquistate al supermercato abbiano accumulato tetradotossina. In Occidente siamo a conoscenza delle gravi epidemie di SARS e di influenza aviaria: entrambe fra i fattori scatenanti includono anche la stretta vicinanza di animali e uomini, di carcasse e animali vivi e le scarse condizioni igieniche dei mercati alimentari. Ma pochi di noi sanno o si ricordano del cosiddetto "tifone dell'epatite A": a Shangai, nel 1988, si sono registrati fino a 10.000 nuovi casi al giorno per 16 giorni consecutivi fino ad arrivare a un numero di persone coinvolte che si aggira sulle 400.000. La megalopoli di Shangai si fermò, scuole, fabbriche e negozi chiusero per epidemia. La causa accertata è stato il consumo delle vongole arcidae. Eppure, leggendo il libro, un'infezione virale è quasi roba scontata, vista la frequenza con cui si può entrare in contatto con cibo mal allevato, mal conservato, mal elaborato e mal cucinato. Adesso, più che parassitosi, intossicazioni alimentari, batteriche o virali, il rischio è dato dai contaminanti chimici, dovuti sia all'ambiente estremamente compromesso in cui i prodotti di acquacoltura vengono allevati, sia alla malafede o all'ignoranza degli operatori della filiera alimentare. Ad esempio, non è chiaro perché gli allevatori di pesce, come anche quelli di pollo e maiale, aggiungano al mangime gli scarti triturati della lavorazione del cuoio. Quando la vicenda venne diffusa e si scoprì che c'era un florido mercato di questi scarti gli allevatori protestarono perché il loro buon nome era messo a repentaglio. Ma tutta la filiera alimentare collabora, a quanto pare, per inserire veleno nei prodotti. I gamberi secchi, ad esempio, sono un prodotto tipico delle città di Shitang e Songmen nello Zhejiang: quelli che attirano di più i consumatori sono rosati con puntini gialli. Ecco riportata dall'autore la procedura operativa per produrli: cuocere in acqua i gamberi freschi, poi seccarli e sgusciarli. Nell'acqua di cottura va ripetutamente aggiunta "la polvere rossa" ovvero la croceina brillante o il rosso acido 73: un colorante cancerogeno per il legno. Nei prodotti del mare cinesi si può trovare veramente di tutto: formaldeide, verde malachite, DDT, clenbuterolo, coloranti, acido cloridrico, cloramfenicolo. E così ogni anno in Cina dalle 200.000 alle 400.000 persone vengono coinvolte in intossicazioni alimentari. Una vicenda che fece molto scandalo nel 2003 è quella del cloramfenicolo nei granchi di Shangai. Ma in Europa è probabilmente più famosa la storia dei gamberi al cloramfenicolo: durante il Capodanno del 2001 in Austria furono numerose le manifestazioni di protesta da parte dei cittadini in seguito alla scoperta di gamberi surgelati contaminati che avevano scatenato in molte persone crisi allergiche. Le autorità cinesi, una volta messe alle strette dalla UE, diedero la seguente spiegazione: "la contaminazione dei gamberi è dovuta al fatto che le operatrici che sgusciano gli animali allevati nell'arcipelago di Zhoushan nella regione Zhejiang utilizzano utilizzano abitualmente creme al cloramfenicolo per disinfettare le ferite che i gusci taglienti provocano loro". La UE non credette a una tale fantasiosa spiegazione e interruppe l'importazione di gamberi e di numerosi altri prodotti alimentari dalla Cina per un certo periodo. In Germania nel 2002, si rilevò cloramfenicolo in partite di granchi e anguille di provenienza cinese. Altri casi di alimenti contaminati importati si riscontrarono in Gran Bretagna e in Spagna. Decisamente, dobbiamo tenerci stretto il nostro sistema di vigilanza e potenziarlo (si veda l'articolo "Prevenire è meglio che curare" pubblicato su Eurocarni n.1, 2009, pag 81). Fortunatamente, non tutte le malefatte cinesi in ambito alimentare raggiungono i mercati della UE. Hong Kong è la porta di uscita privilegiata per i prodotti di esportazione cinese e gli abitanti della ex colonia riescono a individuare una certa quota di truffe, che vengono compiute innanzitutto nei loro confronti. Ad esempio, nel novembre 2002, i tre quarti del campione di uova di pesci d'acqua dolce e pesce persico esaminato in un mercato di Hong Kong si rivelò contaminato con verde malachite, mentre verde malachite e cloramfenicolo furono rilevati in rombi, cernie camuffate, cernie tigre e pesci castagna. Tutta merce di importazione cinese. Anche Taiwan, essendo molto popolosa e avendo la necessità di comprare molte derrate all'estero, è particolarmente esposta al rischio di importare merce adulterata dalla Cina. Nel marzo 2002 il Ministero della Salute di Taiwan ha rilevato ingenti contaminazioni con DDT nei granchi d'acqua dolce e nelle anguille importati dalla Cina. Naturalmente episodi come questi, che si ripetono frequentemente, costituiscono un grave freno all'export cinese: sono pochi i Paesi che decidono di fidarsi di un tale partner commerciale. Inoltre, le conseguenze si manifestano anche sul mercato interno, per quel che è possibile. La mancanza di fiducia dei cinesi aumenta l'import: quello dall'Argentina, ad esempio, negli ultimi anni è aumentato di 370 volte. Le notizie, infatti, filtrano anche fra i consumatori; più che smentire, il Governo cerca di ridimensionare gli episodi. In effetti è quasi comprensibile: la diffusione dei dati reali di questa tragedia potrebbe avere conseguenze molto gravi di ordine pubblico. Percentuali elevatissime della merce dovrebbero essere allontanate dal mercato, fino a rischiare gravi penurie per molti alimenti, anche basilari. Comunque l'impressione che si ha è che, negli ultimi anni, il Governo centrale abbia deciso di intervenire promulgando nuove leggi. Ma l'applicazione delle stesse e il controllo a livello periferico non sono ancora obiettivi raggiunti. Altri gravi problemi sono la semplificazione delle procedure e l'individuazione delle responsabilità nell'organigramma burocratico: finché non si procederà per queste due strade non si raggiungeranno risultati validi, avverte l'autore. D'altronde la situazione non può più essere ignorata. Ad esempio, nel maggio 2004, il Ministero dell'industria e commercio ha ordinato ai dipartimenti provinciali di effettuare controlli su 24 tipi di alimenti in 8 supermercati per comune in 9 città di 9 diverse province. La percentuale dei prodotti che hanno superato il test è stata solo del 65,8%. È anche emerso che il problema della lavorazione con sostanze tossiche è quello maggiormente legato ai prodotti di acquacoltura e a quelli essiccati: si è scoperto che nella città di Yueyang, nello Hunan, in 65 tipologie di prodotti ittici, verdure e derivati di soia si è rinvenuta la rongalite, una sostanza vietata per legge. Nell'estratto di scaglie di tartaruga invece si è trovato acido sorbico. E ancora, nel 2006 nello Shandong è stato l'ufficio sanità della città di Jinan che ha scoperto le pinne di pesce fatte con colla industriale. In 4.000 laboratori cittadini si utilizzava la colla industriale per fare ali di pesce false, oppure si seguiva la seguente procedura operativa: immergere le ali di pesce e i nervetti di maiale in formaldeide per conservarli e aumentarne il peso, poi aggiungere loro l'acido cloridrico per aumentarne il volume e ravvivarne il colore. Vista la gravità della situazione, tuttavia, possiamo solo vivamente consigliare i viaggiatori in partenza per la Cina di non dimenticare di mettere in valigia kit di sopravvivenza alimentare.
(Giulia Mauri)
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