The Second Renaissance
     
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Sull'Europa una religione di morte e luogo comune


  
 
Notazioni

Pubblichiamo uno stralcio della conversazione tra Fernando Arrabal, scrittore e drammaturgo spagnolo, ospite di recente al Festival di Rimini, e Armando Verdiglione. Le "Opere" e "Lettera a Fidel Castro" di Arrabal sono pubblicate in Italia da Spirali/Vel.

Armando Verdiglione
- Sono ormai dieci anni che con Fernando Arrabal ci diamo veri e propri appuntamenti, talvolta in circostanze piuttosto difficili. Il suo modo d'intervenire in una questione non attinente, nel senso classico, a una disciplina, in una questione civile, politica, etica, mi pare una nota che attraversa costantemente tutta l'opera di Arrabal. È curioso che la nostra collaborazione sia incominciata proprio con il libro Lettera a Fidel Castro. Spero che Fernando Arrabal possa collaborare alla pubblicazione, man mano, delle sue opere in Italia, anche perché, secondo la mia valutazione, l'era di Arrabal è incominciata.

Fernando Arrabal - Io non sono un uomo politico. Come dici tu, intervengo nei problemi civili quando mi sembra che l'ingiustizia raggiunga ambiti straordinari. Ho scritto una lettera a Fidel Castro che è stata pubblicata soltanto nel 1984. Ogni volta in cui c'è un'ingiustizia flagrante, io intervengo. La missione dello scrittore è di scrivere romanzi e poesie. La mia missione è questa. Ma io approfitto della mia libertà e di quel poco di notorietà che ho, per difendere le cause che ancora restano nella nostra epoca.

Verdiglione - Sei un intellettuale del rinascimento? Anzitutto, perché intervieni su questioni essenziali e poi perché i romanzi che tu scrivi sono integrali nel senso che in essi c'è il cinema; c'è il teatro, c'è la pittura, c'è il gioco degli scacchi, c'è il saggio. Anche quando scrivi una pièce. Molti di noi hanno letto la tua pièce sull'inquisizione.

Arrabal - Questa pièce ci parla di fatti, ahimè, eterni. Cervantes ha subito questa persecuzione, eccome! Da parte di quei funzionari che Rimbaud ha definito, in una bellissima poesia, "i seduti": stanno seduti per tutta la vita, e quelli che stanno seduti sono persecutori. È tutto un programma.

Verdiglione - C'è questa Europa nuova in via di costruzione. Secondo le dichiarazioni di certi personaggi politici, si costruisce sul luogo comune, sulla casa comune, sull'intolleranza, sull'abolizione della differenza attraverso le sue rappresentazioni. A me sembra invece che sia un'altra l'Europa che si va costruendo, l'Europa che si va costruendo, l'Europa della parola, l'Europa che s'inventa per la seconda volta. La prima invenzione dell'Europa avvenne quando Colombo inventò un altro continente. Dieci anni fa, mentre tutti dicevano che era in declino, che era morto, noi dicevamo, già a New York, già a Tokio, che l'Europa stava reinventandosi e che la scienza è apparsa per la prima volta in questo continente. E, in particolare, l'arte e la cultura sono state differenti. Nel primo rinascimento, arte e scienza si trovavano nello stesso processo.
Da una parte c'è una logica predicativa che è la logica razzista, la logica che abolisce il terzo rappresentandolo, che abolisce l'Altro, che abolisce la differenza. Per esempio, quando Socrate dice a Menone che se interrogherà correttamente il suo schiavo, questi risponderà correttamente, che cosa intende con questo "correttamente" se non quei presupposti stabiliti nella comunità filosofico-religiosa di allora: il principio di unità, il principio di non contraddizione, il principio del terzo escluso, il principio d'identità. Partendo da questi presupposti, avviene una specie di morte della parola, e viene distrutta la sofistica, che era invece ben altra cosa.
C'è la parola come superficie, ma la logica predicativa vuole che questa superficie sia piana. E allora; se deve essere piana, che cosa c'è sotto? E che cosa c'è dietro? E al di fuori? Così, il discorso occidentale immagina che ci sia una morte, una sostanza, una morte come sostanza, che garantisca la padronanza sulla parola e che questa superficie resti piana. Anziché pensare che la superficie è apertura e squarcio, divisione non algebrica, il discorso occidentale pensa alla morte come sostanza esterna alla parola, tale da consentire la metamorfosi della parola in sostanza e l'assunzione della morte; ogni giorno. Questo è il dialogo occidentale.
Il discorso occidentale oggi è diventato il discorso comune, il luogo comune, e la morte è la sostanza del luogo comune. C'è lo psicofarmaco, il luogo comune che è assunto come morte. Da una parte lo psicofarmaco e dall'altra la droga propriamente detta: per la cosiddetta droga vige il proibizionismo mentre per lo psicofarmaco vige il prescrittivismo. È l'eutanasia più diffusa.
Il discorso occidentale, come discorso comune, si è sempre presentato come eutanasia. Prima l'eutanasia dello schiavo di Menone, poi l'eutanasia delle streghe, in seguito l'eutanasia della ghigliottina: è sempre il colpo di mamma, della bambola-mamma, la ghigliottina. Il colpo di mamma era considerato umano perché non aveva bisogno della tortura, come avveniva con le streghe. Bastava un colpo solo. In seguito c'è stata l'eutanasia della camera a gas, e oggi l'eutanasia dello psicofarmaco, del luogo comune. È gigantesco il numero di morti per psicofarmaco.
C'è un partito del luogo comune, un partito dell'intolleranza, che si manifesta contro la differenza e contro la novità. E questo partito neostalinista è intervenuto, in Italia, come gruppo di Securitate in questo affaire. Ma c'è un altro partito, dove le cose procedono dal due, dall'apertura, non dall'uno, non dalla chiusura. Il due, nel discorso occidentale, non è ammesso. È accettato soltanto come doppio o come forma dell'Altro, dell'Altro rappresentato. Se la superficie è apertura, se c'è il due, c'è anche l'infinito. Non il cerchio. C'è l'infinito attuale. Se le cose procedessero dall'uno, dall'uno che si divide in due secondo la teocrazia, non ci sarebbe l'infinito se non potenziale. Un infinito come somma di tutto ciò che è finito.
Allora, c'è la superficie come tempo, l'automa come tempo. Non quell'automa immaginato sul modello del cuore o del cervello. Ma quello che è stato chiamato automa in Grecia: il tempo come divisione non algebrica. Il tempo come Spaltung, come refente. Lo dicevo a proposito dei quadri di Fontana.
In questi cinque anni si è prodotta l'epoca che i sociologi chiamano del "riflusso" o del "revivalismo" o postmoderna o postindustriale, insomma postuma, in cui si è instaurato il luogo comune. Da un lato, c'è il partito del luogo comune, dall'altro, il partito della parola, che non è rappresentato né rappresentabile. La stessa cosa avviene in Europa, dove pure c'è un partito del luogo comune, che è provinciale, nazionalista, economicista e, all'occorrenza, militare, sempre rappresentato dai carri armati, come nella piazza Tien An Men e come, recentemente, in altri paesi dell'Europa dell'est...

Arrabal - Dalle cattedrali che adesso sono diventati i tribunali...

Verdiglione - Sì, anche dai tribunali. Dove interviene tutto ciò che è dittatoriale o totalitario. Dunque, c'è un'Europa degli arcaismi e c'è un'Europa della parola, della parola originaria, dell'apertura.

Arrabal - Ma questa Europa dell'immaginazione, della parola, fa anche appello alla memoria. Non rifiuta la memoria. Quelli che respingono la memoria, che pensano di non avere memoria, in realtà, non fanno che ripeterla...

Verdiglione - È proprio il tradizionalismo ad abolire la tradizione! Come l'oscurantismo vede tutto oscuro. Quelli che si fondano sul luogo comune aboliscono la memoria, quella memoria che, con i suoi debordamenti, porta verso l'invenzione e verso l'arte.

Arrabal - L'immaginazione è l'arte di ricordare meglio. L'intelligenza è l'arte di servirsi della memoria. L'oscurantismo rifiuta tutto questo, resta attaccato a un passato immediato, imminente, ci resta seduto sopra. C'è l'Europa dell'economicismo, dell'immediato e c'è l'Europa della parola.

Verdiglione - ... della differenza.

Arrabal - Esattamente. Quelli pensano a una falsa idea evangelica di una Europa grande come un grosso pesce che mangia i pesci piccoli. Noi cerchiamo un'Europa della parola e ciascuno di noi ha una bocca. Noi non siamo un pesce grosso, siamo tanti piccoli pesci...

Verdiglione - In Italia c'era la metafora del drago. Borges ha scritto la sua straordinaria zoologia fantastica, che procede dalla fenice. La fenice è figura del due, dell'apertura. Figurava già come due, da qualche parte nel Mediterraneo. In Italia, c'è stato il gesto degli studenti, che è come l'apertura degli anni novanta. Hanno scelto la pantera come figura dell'apertura. A Roma, una pantera era fuggita dal circo e la polizia non la trovava. Allora, in modo paradossale, gli studenti sono arrivati a dire: "La pantera siamo noi". Era giusto. Alla maniera di Borges indicava la pantera come figura dell'apertura originaria della parola, dell'apertura come emergenza della parola.

Arrabal - Borges diceva spesso: "Facciamo appello al sorriso della pantera, al sorriso della memoria". Ma c'è anche il drago. Un giorno, Newton ricevette molto denaro dal governo inglese e decise di sovvenzionare una spedizione in Svizzera per cercare il drago. Questo è esemplare. Noi dobbiamo sapere quali sono i draghi che stiamo cercando.

Verdiglione - Vuoi dire gli arcaismi che, qui e là, ci sono stati negli anni ottanta: come durante la partita di calcio a Bruxelles, e poi in Inghilterra, come in Italia, il processo a Tortora, a me o a altri. Il drago è quanto vorrebbe porsi, in questo partito del luogo comune, come l'istanza di un'Europa casa comune.

Arrabal - Il luogo comune è l'insieme.

Verdiglione - Proprio così, l'insieme! C'è una religione della morte e del luogo comune che mira a spazializzare l'Europa, a eliminare l'apertura e il tempo, quindi la frattalità, la divisione non algebrica.

 
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