IL DISSIDENTE Nato a Teheran nel 1946 In esilio a Vienna dal 1979 Pubblicazioni: romanzi, racconti, saggi politici In Italia: Festival della Modernità, Spirali, Milano 2007
NEDA «Il suo nome significa "voce", era il suo destino essere il nostro simbolo» IN PIAZZA «Le strade non sono ancora vuote, non è più questione di riconteggio»
Hamid Sadr, lei da tempo vive a Vienna ma immagino abbia ancora contatti con l'Iran. Che cosa le raccontano? «Innanzitutto io non parlo mai di Iran ma di Persia. Il mio Paese ha una storia millenaria con il nome di Persia, mentre la Repubblica islamica dell'Iran è una definizione del secolo scorso e riflette solo un breve periodo storico da cui io ho preso le distanze. Laggiù vive ancora una parte della mia famiglia, in questo periodo ci telefoniamo ogni giorno, mi raccontano l'atmosfera, mi rassicurano sulle loro condizioni. So che le manifestazioni continuano, che le strade non sono ancora libere». Che idea se n'è fatto? «Ho visto grandi cambiamenti di umore. Inizialmente c'era solo stupore per l'esito del voto, si chiedevano la riconta o nuove elezioni. Era un'opposizione laica, secolare, con un obiettivo preciso. Con il passare dei giorni gli slogan si sono induriti, ora si mette in discussione la stessa Repubblica islamica. Ieri i miei contatti mi hanno detto che i pasdaran hanno minacciato di fare un massacro, se oggi la gente tornerà a manifestare. L'altro ieri c'era meno tensione, anche se la folla urlava slogan contro la dittatura. Passo dopo passo si radicalizza tutto, non è più questione di elezioni ma della sopravvivenza della stessa Repubblica islamica». Quali sviluppi immagina nel futuro? «Io penso che il regime e i pasdaran abbiano mancato il momento perfetto per ritirarsi. Era il momento d'oro, e non l'hanno riconosciuto. Fino a ieri la nostra era un'opposizione laica, ma che farà ora la folla? Questa è l'incognita. Temiamo il caos e la guerra civile». Lei pensa che l'Occidente abbia fatto abbastanza o non sia stato invece troppo cauto? «L'Occidente ha fatto assai poco, soprattutto se paragoniamo il suo comportamento verso i Paesi dell'Est, ad esempio le reazioni alle turbolenze in Ucraina. Sia la stampa sia i politici si sono impegnati molto di più di quanto non abbiano fatto ora con la Persia, nonostante le evidenti analogie». La tragica fine di Neda Soltan ci ha colpiti tutti molto. Lei pensa che questo simbolo avrà un'onda lunga? «Lei sa che vuol dire Neda in persiano? Vuol dire voce, appello, eco. Nel nome di quella ragazza uccisa sabato a Teheran c'era già il suo destino. Ma lei non è morta invano. Diventerà per tutti noi un simbolo potente come la donna con la bandiera nel quadro del francese Delacroix "La libertà che guida il popolo". Ha presente quella magnifica giovane donna che incita i parigini a sollevarsi e marciare uniti sotto il tricolore? Così sarà la nostra Neda. La nostra rivoluzione avrà il suo volto».
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