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Se Khamenei insiste la ribellione diventerà una tragedia


  
 
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Al dodicesimo giorno di proteste, in una situazione di "calma tesa" nelle strade di Teheran, con la polizia e le milizie islamiche (Basiji) che già affermano di aver sedato la ribellione, la "guida suprema" iraniana, l'ayatollah Ali Khamenei, difende il casus belli: la vittoria alle elezioni di Mahmoud Ahmadinejad, secondo lui è regolare. L'Iran non cederà alle pressioni sul voto contestato del 12 giugno scorso, che continua a provocare proteste e violenze nella Repubblica islamica: è questo il succo del suo discorso pronunciato di fronte alle telecamere di Press Tv. "Ho insistito e insisterò sull'attuazione della legge per quanto riguarda la questione delle elezioni - ha detto Khamenei - Né l'establishment, né la nazione cederanno alle pressioni a ogni costo. Cedere alle richieste illegali sotto la pressione è di per sé l'inizio di una dittatura". Khamenei, leader politico e religioso il cui potere è assoluto, parla di dittatura? Per difendere un'elezione che, secondo gli stessi funzionari del Ministero degli Interni, è stata caratterizzata da frodi? Questi sono solo alcuni dei paradossi dell'Iran contemporaneo. Un autore umoristico, Ebrahim Nabavi, ha scritto proprio un libro su queste, contraddizioni: "Gnomi e giganti, paradossi e malintesi" (edito da Spirali). Nabavi stesso ha subito al repressione del regime, proprio quando al potere era il presidente "riformatore" Mohammad Khatami: è stato arrestato nel 2000 conl'accusa di essere autore di pubblicazioni menzognere e offese contro i dirigenti politici. In un passaggio del suo nuovo libro, si tocca con mano la vita sotto il regime: "Ha riso: l'hanno accusato di prendere in giro il regime e l'hanno picchiato. Era silenzioso: l'hanno accusato di ordire un complotto contro il governo. Ha condotto una vita allegra: l'hanno arrestato per immoralità. Ha inseguito la ricchezza: l'hanno accusato di corruzione. Ha inseguito il potere: l'hanno accusato di opposizione al governo. Ha pianto: l'hanno arrestato con l'accusa di disfattismo. Ha scritto: l'hanno arrestato con l'accusa di diffondere mezogne e d'insultare i leader. Non ha scritto: gli amici l'hanno accusato di complicità con il potere. Ha camminato: l'hanno picchiato con l'accusa di vagabondaggio. Si è seduto: l'hanno accusato di ostruire il passaggio. Alla fine un bel giorno, ha usato il cervello: è fuggito. La morale: uno dei motivi della fuga dei cervelli è l'uso del cervello".
Oggi che la gente ha votato, la reazione del regime è altrettanto paradossale: "Il grande paradosso è un ministro dell'Interno che, invece di proteggere la regolarità del voto, è stato artefice di una grande frode" - spiega l'autore a L'Opinione - "invece di garantire la pace sociale, ha provocato la rabbia della gente. La polizia dovrebbe garantire la pace sociale, ma in queste settimane, a Teheran, vediamo masse di civili tranquilli attaccate ripetutamente da bande di poliziotti scatenati. Adesso è la polizia che picchia con bastoni e catene, dà fuoco alle macchine, sfascia le vetrate. E la gente li invita a calmarsi. Tutto il mondo vede le immagini di Teheran. Meno la gente in Iran, perché la televisione è censurata, YouTube e Facebook sono oscurati. Tutto il mondo, tranne gli iraniani, sa cosa succede in Iran".
Partiamo dal primo paradosso: il Ministero dell'Interno ha garantito una frode perfetta per far vincere Ahmadinejad. Di questo ne è sicura anche Sanaam Ghiaee, compagna di Ebrahim Nabavi, reduce dall'esperienza elettorale: "I seggi erano pieni di gente" - spiega a L'Opinione - "L'80% di loro voleva votare Mousavi. Era una vera festa, c'era speranza di un cambiamento radicale, fiducia nella vittoria, un grandissimo entusiasmo". Anche se si dice che, se Mousavi è votato a Teheran, Ahmadinejad è amato nelle campagne e nelle piccole città... "Non credo perché Ahmadinejad ha preso 7 milioni di voti, non 24 milioni. Quindi non ha conquistato le province. Si può parlare tranquillamente di frode elettorale".
Ma Mousavi, però, è descritto spesso come un uomo di regime. Lei come lo vede? "Non è un rivoluzionario, ma l'ho sempre visto come un vero riformatore. E adesso si sta dimostrando una persona molto coraggiosa. Difende il risultato ottenuto nelle elezioni e sta sostenendo la protesta. La gente in piazza chiede di rifare le elezioni, ma se le manifestazioni dovessero continuare ancora per altre due o tre settimane, inizierebbe a chiedere la sostituzione della guida suprema, dell'ayatollah Khamenei".
Khamenei ha finora avuto l'ultima parola, politica e religiosa. Nella dottrina della Repubblica Islamica, la sua linea è il volere di Dio. Ma questa settimana, anche una corrente di 40 alti esponenti del clero, che fanno capo all'ex presidente Hashemi Rafsanjani, si pronuncia contro la sua decisione di legittimare la vittoria di Ahmadinejad. "Nessuno sa, a questo punto, quale potrà essere il nostro futuro" - ci spiega Ebrahim Nabavi - "Ma l'idea di un cambiamento avvenuto in seguito a una rivoluzione non è affatto piacevole. Stando al sermone di Khamenei, pronunciato venerdì scorso, ora ci sono solo due possibilità: o la polizia arresta e uccide tutti di dissidenti o il governo cambierà. In entrambi i casi avremmo una situazione pericolosa, in cui molte persone perderebbero la vita. Khamenei ha commesso un grave errore. Ha protetto a tutti i costi il 20% dei voti, alienandosi la fiducia dell'80% degli iraniani. E così facendo ha perso anche il consenso di buona parte del clero iraniano". (Stefano Magni)

 
Relazioni
eco di stampa di Ebrahim Nabavi (Giornalista)
Iran. Gnomi e giganti, paradossi e malintesi (Libro)





 
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