PARIGI. Un'istanza morale ed etica, nel solco della continuità con Giovanni Paolo II, ma non un'entità istituzionale realizzabile, piuttosto una bella utopia. Così Alain Gerard Slama, che di governance mondiale si è occupato spesso nei suoi libri (in Italia pubblicati da Spirali), riassume e giudica la proposta di Benedetto XVI. L'editorialista di Le Figaro, professore di scienze politiche presso l'Institut d'etudes politiques di Parigi, ammira «l'esercizio filosofico del Papa» nella Caritas in Veritate: «Se tutti i filosofi fossero così nel mondo ci sarebbe certamente più pace!».
Professor Slama, che cosa intende il Papa quando parla di nuova autorità mondiale? «Io non credo che voglia proporre la creazione di una nuova entità istituzionale o amministrativa che governi il mondo. Penso che la sua sia un'istanza etica e morale, egli pone con forza la condizione di sopravvivenza dell'umanità, come hanno fatto diversi filosofi in passato e anche uomini politici in Francia, come Jacque Chirac». Il Papa non accenna a una nuova entità che sappia decidere, più dell'Onu e delle altre organizzazioni internazionali? «Quella è un'utopia. Una bella utopia. Solo che il Papa non è un'utopista, ma un grande filosofo che lancia un appello spirituale. Chiede un'evoluzione di mentalità e di coscienza, in un periodo in cui le minacce sui popoli si moltiplicano. Non vuole una nazione planetaria, ma piuttosto lo stabilirsi di regole universali basate sul contratto sociale. È la concezione cattolica del capitalismo cristallizzata da Micheal Novak: il capitalismo può funzionare se rispetta le regole universali che i popoli devono ancora trovare». L'appello del Papa resta quindi solo sul piano religioso? «E su quello teologico e filosofico, in continuità con la Centesimus Annus di Giovanni Paolo II. Benedetto XVI dimostra di non essere un Papa conservatore, come è stato definito quando è scoppiata la polemica sui lefebvriani. Porta avanti il suo compito con un esercizio filosofico potente, veicolando un bene etico che ammiro molto. In questa enciclica va contro il realismo che giustifica che i più deboli restino ai margini, pone nuovi criteri per la società dei popoli: il dono e la carità. È un messaggio molto forte». Se dall'utopia passiamo alla pratica, qual è, al giorno d'oggi, l'organizzazione internazionale in grado di incarnare questi valori? «Può esser l'Onu, come il G20. Certamente non il G8, perché là sono rappresentate le grandi potenze, gli interessi materiali. Si tratta di occuparsi di chi resta ai margini: l'Onu non ha mai adempiuto a questa funzione, non dico che è in grado di farlo ma piuttosto che può diventare l'istituzione internazionale di cui i popoli hanno bisogno». Onu, G8, G20, G14, organizzazioni continentali. Non sono un po' troppi e confusi i centri di discussione internazionale? «Certo che c'è bisogno di un cambiamento, di maggiore coerenza. Basta vedere la debolezza dell'Unione Europea per accorgersene. Si prenda il G20, è diventato fondamentale per la regolazione economica e finanziaria, rappresenta potenze industriali e Paesi emergenti. Però poi per il commercio ci si affida ad altre istanze, idem per il cambiamento climatico. Bisogna trovare un limite, far convergere le competenze verso un numero minore di entità internazionali». (Nicola Accardo)
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