Scompare con Ugo Ronfani un critico e autore amico della gente di teatro. Molti i suoi testi teatrali e i suoi saggi in cui la drammaturgia italiana appare attraverso scrittori e colleghi, con riflessioni che ne indicano le espressioni più significative insieme ai segni di una crisi che ha radici antiche e politiche responsabilità
"Enfin!" disse alzandosi in una affollata assemblea dei critici di teatro, a Riccione, dove l'Associazione era ospitata per la sua consueta assemblea annuale, in cui si sarebbe eletto il nuovo Direttivo e decisa la linea di condotta per i successivi due anni. "Enfin!". E tutti si zittirono, per ascoltare quel signore distinto che aveva lanciato una parola in francese, ponendo l'accento sulla necessità di concludere, di riflettere dopo tanti discorsi e di definire un programma: un signore che non si era visto negli anni precedenti. Ma che subito si fece conoscere, dicendo il suo nome. Era appena arrivato da Parigi, dove per anni aveva mandato al Giorno le sue critiche teatrali. La sua presenza da quel periodo in poi nell'ambito dell'Associazione fu preziosa, perché diede un impulso nuovo alla visione della critica teatrale, la rese attiva non solo come meditazione e valutazione degli spettacoli, ma promotrice di confronti e di tematiche relative alla drammaturgia che si andava definendo in quegli anni, nella quale molti di noi, critici - tra cui Roberto de Monticelli, Aggeo Savioli, Giorgio Polacco, Raul Radice, Renzo Tian, Ghigo de Chiara, Giorgio Prosperi, Massimo Dursi, Mario Raimondo, chi scrive, ai primi tentativi, e Ronfani stesso - eravamo impegnati, ritenendo la critica una esperienza del pensiero e della sensibilità, a livello differente ma analogo alla scrittura creativa. L'apertura verso la Francia indusse a svecchiare la cerchia degli interessi allargandoli all'esterno. Apparve chiara, allora più che mai, la provincialità di un teatro che privilegiava classici e stranieri rispetto alla propria drammaturgia, classica o in divenire. Ronfani assumeva il ruolo del saggio giudice, del filosofo che costringeva al ragionamento. Scriveva le sue recensioni senza mai denigrare, pur di fronte a spettacoli inadeguati, trovandovi dentro quella scintilla che doveva essere valorizzata, perché chi fa teatro compie già con questa scelta un atto di coraggio, un sacrificio privo di economicità che va segnalato, tranne naturalmente i casi di presunzione e ottusità: ma anche allora Ronfani concedeva un appello, per quel "metterci la faccia" che era stata un'osservazione di Orazio Costa circa il lavoro degli attori, e che si può estendere a tutti quelli che il teatro lo fanno sulla propria pelle. La curiosità e l'impulso pur razionale all'indagine critica indussero presto Ronfani ad ampliare il suo universo di intervento. Non solo critico di un quotidiano, ma fondatore di una rivista - "Hystrio" - nella quale spaziare con maggior possibilità di approfondimento critico circa i fenomeni su cui scrivere, si trattasse di consacrazioni che di segnalazioni di novità, soprattutto spiragli di innovazioni che incidessero nello spirito di un'epoca in una determinata società. Quella rivista così appassionatamente voluta ebbe il pregio di assegnare ampi spazi alla drammaturgia italiana contemporanea. Testi premiati, andati in scena in festival, o scelti da lui con quel fiuto che lo faceva andare sicuro là dove ancora un autore era sconosciuto, riempirono le pagine della pubblicazione segnalando problematiche innovative. Quanti autori, allora già celebri, o del tutto o quasi sconosciuti, vi trovarono ospitalità: tra questi Alberto Bassetti, Edoardo Erba, Melania Mazzucco, Fabio Cavalli, Roberto Cavosi, Luigi Squarzina, e io stessa. Nell'impegno di Ronfani l'attenzione per la drammaturgia contemporanea non era disgiunta da una continua confrontazione con il passato, radice e stimolo per un presente attento e partecipe. In questa ottica rivestì la carica di presidente del Comitato per le celebrazioni del bicentenario goldoniano, dando spazio a studiosi fra i più arditi e sollecitando rappresentazioni di testi la cui carica innovativa non era del tutto stata ancora messa in evidenza. E con il passato che aveva avuto a protagonista il regista, autore e maestro Alessandro Fersen si era di nuovo adoperato per rinnovarne l'interesse attraverso la presidenza del Premio Fersen, fondato da Ombretta De Biase, che da alcuni anni segnala autori nuovi, le cui tematiche si ispirano alla fervida inventività di questo Maestro. Ronfani ha sacrificato parecchio del suo estro creativo per dedicarsi a Hystrio, a vantaggio di altri che scrivevano. Ma Hystrio era una sua creatura, e come tale suppliva alla nascita di testi suoi. Come un padre che consegna una figlia a chi sa di potersi fidare, anni fa affidò la rivista ai suoi collaboratori, che proseguissero, ormai esperti, la strada iniziata da lui. Si ritrasse conservandosi uno spazio per sé, mentre intanto gli erano arrivate attestazioni di prestigio, da anni già la nomina di commendatore dell'Ordine della Repubblica francese, ricevuta dalle mani di Mitterrand allora presidente, e poi la carica di presidente dell'Associazione dei critici di Teatro, che condusse in anni difficili, quando ormai la critica - come sempre più oggi - veniva confinata a brevi articoli marginali, sopravanzati da interviste fiume dal sapore di pettegolezzo. Consegnò ai libri, oggetti più duraturi rispetto all'articolo destinato ad essere buttato, i suoi pensieri più elaborati. Dopo l'esperienza francese che gli ispirò "Il nuovo teatro in Francia" dove Vilar ne è il centro, e poi "Trent'anni di teatro francese", sollecitatore di confronti nostrani, è il tempo delle riflessioni amare, inevitabili e relative al nostro teatro, come "Il funerale di Pulcinella", un pamphlet carico di pessimismo ma, nella sua ottica di critico e drammaturgo, scritto quasi per la scena. La scena la amava al punto da immedesimarvisi nella sua più limpida volontà di ispirazione: scrisse, e ne ebbe la soddisfazione della rappresentazione, "L'automa di Salisburgo", e poi altri testi che con autentica gioia seguiva assistendo agli spettacoli che se ne andavano realizzando, come "Diablogues" e "Dolci delitti del vecchio Far West", interpreti Piero Nuti e Adriana Innocenti anche regista della pièce, e tanti altri, tratti da saggi di filosofia, di letteratura, di storia, campi nei quali Ronfani si muoveva con abilità, lui anche direttore della Scuola di Giornalismo a Milano. L'amatissima moglie Natalina, sua compagna di scelte politiche a partire dal periodo della lotta partigiana gli fu accanto nelle complesse pratiche per la pubblicazione di Hystrio; quando lei morì, ne venne stroncato, ma si riebbe da quel dolore sentito come la perdita di una parte di sé "cantando" quella donna in "Canzoniere per la sposa perduta". Forse deluso dall'andamento che sempre più assumeva il nostro teatro, si dedicò alla narrativa. "Il vampiro e la fanciulla", l'ultimo suo romanzo, percorre la sua esistenza attraverso episodi e riflessioni che ognuno può far sue, al di là di un velato autobiografismo. Ma tanti erano anche i romanzi e i saggi di soggetto politico o letterario: "Perché De Gaulle", "La rivolta del vescovo Lefebvre", "Esprit, una rivista per l'Europa". Capiva che non devono esistere barriere rigide fra teatro e tematiche civili, fra drammaturgia e scrittura letteraria. Un panorama che spaziava fra scrittura, rappresentazione e critica emerge nel volume "Il teatro in Italia" (Spirali ed.) dove il teatro appare in tutti gli aspetti della sua espressività, riportandoci da Strehler a Gasmann, da Lavia a Parenti, da Savioli a Lunari, Terron, Pensa, Geron, consegnandoci del teatro che giunge alla metà degli anni ottanta una visione completa, che vale come confronto ai successivi decenni. Mi aveva telefonato, non molto tempo prima della sua scomparsa, per dirmi che Valentina Cortese voleva interpretare, come omaggio a Eleonora Duse, a Jesolo, "Ultima notte a Pittsburg" che Ghigo de Chiara aveva scritto ispirandosi all'attrice, e cercava quel testo. L'aveva pubblicato Ridotto, la Cortese lo ricevette subito. Ancora una volta Ugo Ronfani, con la generosità di chi ama il teatro al di là di un ambito personale, si era offerto come tramite perché la Parola tornasse a risuonare.
(Maricla Boggio)
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