Frecce tricolori. Ruggero Guarini mette in burla la storia d'Italia in una serie di epistole pubblicate nel suo "Fisimario 2008"
Le parole del buon senso ci fanno ricordare la dolce premura dei nonni. Le parole dell'astio o dell'ira è meglio rimangano nell'imbuto della riflessione prima di schizzare fuori. Le parole del dolore sono spesso ripetitive, a meno di essere geniali nell'individuare ciò che si nasconde dietro le metastasi dell'anima. Sulle cose stupide ci sarebbe molto da discettare, ma la direzione di liberal non può concedermi sedici pagine, spazio che peraltro non sarebbe bastevole. Sulle parole intelligenti è un gran piacere soffermarsi: sono quelle che generano il sorriso della mente, che non è mai sguaiato. E di queste è fatta la raccolta di lettere immaginarie di Ruggero Guarini (Fisimario 2008, Spirali edizioni, 380 pagine, 24 euro), il quale, con il piglio nativo (Napoli) dell'ironia immagina una corrispondenza tra i morti e i vivi, con l'intento di denudare questi ultimi e porli sulla graticola delle contraddizioni. Le frecce di questo intellettuale sono tutte avvelenate - altrimenti la semplice scalfitura sarebbe tenzone da balera - e vanno a segno. Con beneficio nostro di ricordare quel che si tende, magari in buona fede, a dimenticare nella lettura del presente. Un esempio tra tanti: Jurij Andropov, grigio, anzi grigissimo segretario dell'Urss morto nel 1983, solo un anno dopo il suo insediamento come successore del più marmoreo Leonid Breznev. Da lassù, dove forse il cielo è rosso, si ricorda di Massimo D'Alema quando accorse nella grande piazza moscovita e dette l'impressione di essere tra le persone più commosse. Andropov segue le cronachette italiche e sa bene che l'ex comunista con i baffetti è stato impertinente con Berlusconi definendolo «un sito archeologico tirato a lucido». Andropov compie uno sforzo, per lui forse immane, d'ironia e a quella promessa (aveva 33 anni) della politica italiana vestita a lutto nel gelo della Russia non gliele manda a dire: grazie di essere stato ai miei funerali, ma sappi anche che in confronto al «Paperone di Arcore» tu sei «una reliquia preistorica». E perché? Beh, basta ricordarti «nello stile guerrigliero» con barba, baffi e capelli alla Che Guevara, oppure durante la tua deferente visita a Fidel Castro, o ancora nei tuoi pugnaci sforzi nel marciare contro il capitalismo imperialista. Certo, le frecce di Guarini paiono a volte strane, nel senso che di esse s'individua l'amore per un solo percorso, ossia verso «la sinistra boriosa e furiosa». Le punte avvelenate infilzano sempre l'ala di un battaglione. E mai l'altro. Così che si è tentai di pensare che certi assalti in realtà siano strategie difensive: una specie di sbarramento di opliti a difesa del Pdl e del suo capo, Berlusconi. Oppure armi di agili e argute guardie del corpo: come quando fa scrivere Shakespeare a Pier Ferdinando Casini rimbrottandolo per aver criticato l'attuale premier e ricordandogli certe frasi di Antonio, nel Giulio Cesare. Francamente, e non solo in questo caso, le frecce di Guarini rischiano di somigliare a certi botti partenopei: febbrile vigilia per un'esplosione feconda di colore e di spettacolo, ma alla fine un "puf" soltanto, magari perché la polvere dell'ironia nel frattempo s'è inumidita. Tuttavia Guarini è capace, anche se non è più giovanissimo, di fare gran salti d'indignazione. A sostenerlo, invisibilmente, è la morale. Mette la penna in mano a Luigi Calabresi, il commissario di polizia ucciso a Milano dopo l'orripilante raffica di insulti sparata da Lotta Continua. Il destinatario è Adriano Sofri, che a quei tempi era a capo del manipolo del sanguinario rancore. Vale la pena riportare per intero la lettera: «Caro Adriano, dunque secondo te i miei assassini non erano dei terroristi. E io potrei anche essere d'accordo. Per definirli, però, occorrerebbe trovare una parola atta a designare quella specialissima specie di assassini che per accoppare il prossimo, diversamente dagli assassini comuni - i cui moventi abitualmente sono, com'è noto, passioni infami come il denaro, l'amore, la gelosia, la vendetta, l'odio, l'invidia, la disperazione, la pazzia e simili -, hanno bisogno dell'alibi di un nobile idealone. E io - lo confesso - con la mia modesta preparazione umanistica, non riesco a trovarne nessuna. Perché non provi a trovarla tu, visto che essendo un fine tuttologo, dovresti essere anche un bravo lessicologo?». Quell'impasto di ironia, sarcasmo e cultura che forma il veleno dell'ironia a forma di epistole, a volte dissotterra verità frettolosamente dimenticate e ci muove a un sorriso amaro, lo stesso che tutti noi abbiamo dinanzi al ripetersi di astiosissime ottusità. Guarini prende a prestito, come scrivente, Telesio Interlandi, che fu co-autore di quello sciocco e infame foglio che fu Il manifesto della razza. Ebbene, l'Interlandi entra a gamba tesa nella polemica suscitata dal film dell'americano Spike Lee sulla strage Stazzema a opera dei nazisti. Il regista ha avuto l'incauto coraggio di mostrare i partigiani che, dopo vari attentati, «fuggivano sulle montagne abbandonando le inermi popolazioni alle micidiali rappresaglie dei tedeschi». L'ex partigiano più noto d'Italia, anzi la vestale delle pagine scritte a onore di coloro che si ribellarono al nazi-fascismo, ossia il giornalista Giorgio Bocca, ha dato del fazioso e dell'ignorante a Spike Lee, perseverando nella sua «salda ossessione antiamericana». Telesio il razzista ricorda che l'iroso Bocca fra il 1940 e il 1943 «fu uno dei più appassionati fautori del grande ideale razzista» e che lui stesso scrisse articoli ne La difesa della razza. Anche come universitario (di Cuneo) Bocca dette prova di bravura. Interlandi ci rammenta che «scriveva splendidi articoli in cui, sulla base di una dotta analisi dei Protocolli di Sion (falso storico, ndr), dissertava temerariamente sulla necessità di aiutare il camerata Hitler a sconfiggere l'America per impedire agli ebrei di conquistare il dominio del mondo». Poi il '43, lo scarto ideologico e l'impegno come partigiano. Ma Interlandi è cattivello, e pure aggiornato, allorquando rilegge la rubrica di Bocca su L'Espresso, specificatamente nel punto in cui «fu solidale col terrorismo islamista, che paragonò alla nostra Resistenza, e del quale confessò di condividere l'obiettivo, che è appunto quello di fottere il Satana americano». Il tuonante Telesio, tuttavia, si mostra troppo sbrigativo: confondere il borbottio politico-moralista di Bocca con il plauso agli sgozzatori islamici è operazione azzardata. Simile, a mio avviso, a quella di accostare l'adunco naso ebraico alla tendenza a delinquere. Il difensore della razza, sia pure per interposta persona, perde il pelo (magari quello riccio africano?) ma non il vizio, che è poi quello dell'inesattezza storico-scientifica. (Pier Mario Fasanotti)
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