A più di un mese dalle elezioni del 12 giugno, a Teheran è ancora muro contro muro tra riformisti e conservatori. L'ex presidente Khatami chiede un referendum popolare sul voto, di fatto una ripetizione della consultazione. Ma la Guida suprema invita tutte le autorità a «fare attenzione a come parlano» e accusa nuovamente potenze straniere di essere dietro alle proteste contro la conferma di Ahmadinejad.
Penna caustica e irriverente, quella di Ebrahim Nabavi, giornalista e scrittore nato ad Astara nel 1958, divenuto negli anni il più conosciuto e apprezzato autore satirico iraniano e, dunque, il più temuto dal governo. È questo che gli ha fruttato il carcere, prima nel 1998 e poi nel 2000, per diciotto mesi. L'unico risultato ottenuto è stato quello di costringerlo all'esilio, a Overijse, vicino a Bruxelles, da dove l'autore di «Iran. Gnomi e giganti. Paradossi e malintesi» (Spirali, euro 28) continua a lanciare stilettate ai custodi dell'integrità della Repubblica islamica, demistificando una rivoluzione che «ha finito per divorare i suoi stessi figli».
Da diversi anni lei vive in Belgio. Ci può raccontare le ragioni che l'hanno spinta a lasciare l'Iran? Vivo in Belgio ormai da sei anni. Prima di lasciare il mio paese sono stato rinchiuso in carcere per due volte, e mi hanno minacciato che l'avrebbero fatto di nuovo se non avessi accettato di collaborare con il ministero dell'Informazione. Sono andato via per non doverlo fare. Sebbene viva geograficamente in Belgio, la mia mente e il mio linguaggio continuano a essere in Iran. Nel corso di questi anni, ho passato dieci ore del mio tempo leggendo notizie che riguardano l'Iran e scrivendo duemila parole in persiano, ogni giorno, e alla fine ho scritto più di venti libri e qualcosa come duemila articoli. Mentre io scrivevo, l'Iran è senz'altro cambiato: ci sono stati quattro anni di un disastro che va sotto il nome di «Ahmadinejad», un silenzio assoluto e poi un'esplosione «verde» (si riferisce al colore scelto dall'ex candidato presidenziale Mir Hossein Mousavi per la sua campagna elettorale, divenuto il simbolo di un movimento di opposizione, ndr). Gli iraniani sono diventati senz'altro più informati, forse anche più intelligenti. Come se in questi quattro lunghi anni di silenzio non avessero fatto altro che ragionare su come liberarsi di Ahmadinejad. A luglio del 2008, nell'ambito del Festival della modernità organizzato dalla casa editrice Spirali, lei sosteneva: «Al prossimo festival, fra sei mesi, Bush non ci sarà più e molto probabilmente nemmeno Ahmadinejad...». Oggi invece Ahmadinejad è ancora presidente dell'Iran. A cosa attribuisce questa «longevità»? A bene guardare la mia previsione non era sbagliata: Bush non è più il presidente degli Stati Uniti, mentre Ahmadinejad, che ora se ne sta rintanato in un buco da cui teme di uscire, per poter essere rieletto e rimanere al potere ha dovuto arrestare più di cento persone e uccidere oltre cinquanta sostenitori del suo concorrente, attuando un vero e proprio colpo di stato, con cui ha rubato i voti destinati a Mousavi. In queste elezioni, chi ha scelto veramente non è stato il popolo iraniano, le tante persone che hanno deciso di votare per Mousavi, ma l'ayatollah Khamenei. Che così facendo ha commesso l'errore più grave della sua lunga vita. Scegliendo Ahmadinejad contro la volontà generale del paese, ha perso il sostegno del popolo e del 70 per cento dei rappresentanti che sostengono il governo. Per diversi anni molti iraniani neanche osavano nominare Khamenei, mentre oggi scendono in piazza per mandarlo a quel paese, o comunque per scandirgli contro slogan critici. Khamenei ha reso più breve la sua vita e quella della Repubblica islamica. Per reprimere le manifestazioni, il governo iraniano ha fatto ricorso alle armi e alla violenza del corpo del basij, eppure i manifestanti non sembrano temere le "ragioni" del governo. Qual è la vera posta in gioco, oltre le contestazioni del risultato elettorale? Credo che all'inizio la posta in gioco principale fosse il risultato delle elezioni. Il governo iraniano ha cercato di eliminare, anzi distruggere i voti reali delle elezioni, e far fuori anche coloro che quei voti avevano espresso. In casi come questi le armi funzionano sempre. Eppure, sembra che questa volta gli iraniani non abbiano accettato la legge delle armi, le «ragioni» del governo, e pare che non temano di affrontare frontalmente la polizia. In questo senso la posta in gioco è cambiata con il tempo: difendendo e avallando un broglio così evidente, Khamenei ha messo a rischio anche il suo potere. Il suo libro tradotto in italiano è dedicato a gnomi e giganti. Mousavi ha davvero le doti necessarie per combattere gli gnomi, quelli che dicono e impongono agli altri cosa dire, pensare e come comportarsi? Mousavi è un uomo potente, e se è arrivato fin qui è stato grazie al potere. Ma è riuscito a stabilire un contatto con la gente sincero e spontaneo, e dopo aver vissuto per anni all'ombra di Mohamad Khatami (il presidente che nel 1998 ha cercato di avviare riforme in senso democratico, ndr) è diventato un vero leader di «avanguardia». È una persona razionale, moderna, abile, perfino coraggiosa, un tecnocrate moderato. Per questo potrebbe anche salvarci dai 7 gnomi iraniani, ovvero i 6 gnomi del Consiglio dei Guardiani e l'altro, che porta il nome di Ahmadinejad. Si sorprende che tra gli gnomi non abbia incluso l'ayatollah Khamenei? Perché non tiene conto del suicidio politico commesso da Khamenei nel famoso discorso tenuto durante la preghiera di venerdì 19 giugno (quando ha avallato la vittoria di Ahmadinejad, ndr). Khamenei si è suicidato politicamente, e ora nessuno ne parla più, se non per indirizzargli parolacce. Le cancellerie occidentali per ora sembrano limitarsi a invocare un generico rispetto dei diritti umani. Lei auspica un intervento diplomatico più diretto di altri paesi o crede che possa rivelarsi controproducente? Gli Stati Uniti non sembrano aver troppo insistito neanche sulla questione dei diritti umani, e per ora cercano di essere imparziali. Un atteggiamento del genere è senz'altro più produttivo per noi, visto che la protezione degli Stati Uniti ci ha sempre arrecato danni. Di certo non ci aspettiamo né desideriamo che siano gli occidentali a proteggerci per le strade di Teheran, che conosciamo molto meglio di loro. Ci aspettiamo però che gli europei non barattino la questione dei diritti umani al prezzo di qualche accordo commerciale. La cosa più importante è che tutti si rendano conto che Ahmadinejad non è il nostro vero presidente. (Giuliano Battiston)
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