L'ambiguità l'aveva già denunciata il romanziere Ma Jan, intervistato lunedì da Repubblica. Alla fiera del libro di Francoforte, la celebre Buchmesse inaugurata nei giorni scorsi, gli scrittori avversi al regime della Repubblica popolare cinese (quest'anno ospite d'onore della manifestazione) restano un po' in disparte. Ma Jan, ovviamente, non è stato invitato dal suo Paese, ma dall'editore tedesco Rowohlt. E ha spiegato che altri autori, come i celebrati Mo Yan e Yu Hua (tradotti in Italia da grandi editori come Einaudi e Feltrinelli), sono membri del partito comunista, in qualche modo allineati alle direttive del governo. Polemiche ce ne sono state anche qualche tempo prima dell'inaugurazione, quando la Cina (presente in Germania con circa cento autori e mille tra funzionari e manager editoriali) ha minacciato di boicottare l'evento a meno che non fossero disdetti gli inviti a scrittori "scomodi". Ieri alla Buchmesse era presente anche Harry Wu (pubblicato in Italia da Spirali), l'attivista per i diritti umani fondatore della Laogai Research Foundation, l'associazione che si occupa di diffondere la verità sui campi di lavoro cinesi, veri e propri lager. La sua posizione sulla fiera del libro tedesca è molto dura. Secondo lui "non ci sono abbastanza scrittori dissidenti: sono soltanto un paio". Non vuole fare nomi, forse per precauzione verso di loro, ma sostiene che "sono presenti molti scrittori filogovernativi che non dicono la verità sulla situazione della Cina. Anche perché, se dicessero la verità, semplicemente perderebbero il lavoro. Gli unici che raccontalo le cose come stanno, a parte i pochissimi autori dissidenti, siamo noi della Laogai foundation e spero che alla manifestazione siano presenti molti cinesi, che vengano ad ascoltarci e non ascoltino le bugie pagate dal governo cinese". Ma di chi è la responsabilità se a Francoforte sono presenti così tanti scrittori fedeli (in modi diversi) al regime comunista? Wu non sembra avere dubbi, anzi s'infiamma quando gli poniamo la domanda. L'organizzazione della Buchmesse, sostiene, ha gravi colpe. "Ha moltissime responsabilità per il fatto di aver invitato tanti scrittori filogovernativi", sostiene. Juergen Boos, direttore della fiera, ha spiegato ieri al New York Times che l'invito alla Cina può servire a favorire l'apertura del Paese ai diritti e alle libertà. Glielo auguriamo. (Maria Sole Abate)
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