Intervista a Ebrahim Nabavi, scrittore iraniano esule in Belgio dopo un anno di carcere
Nabavi è in esilio in Belgio a causa della sua attività di scrittore satirico, molto critico nei confronti del regime. Di Iran si parla, ormai, oltre che per il nucleare anche per gli scenari aperti dopo le elezioni del 12 giugno scorso. Ieri, lo stesso ex candidato moderato Mir Hossein Mousavi è tornato ad affermare che nel Paese è in corso "un grande cambiamento" e che la protesta non può ritenersi esaurita. Dopo le intense manifestazioni di piazza, quali sono le prospettive politiche nella Repubblica Islamica dell'Iran? «Quello che più conta ora è che c'è un movimento, un movimento del popolo, della società civile. Ciò che è cambiato in Iran è soprattutto la gente che si è unita ed è scesa per le strade. Tutto questo avrà senza dubbio un effetto politico perché lo scopo del movimento è politico. L'obiettivo è quello di proclamare i propri diritti e il primo di tutti è quello di poter scegliere il proprio presidente». Mir Hossein Mousavi, un personaggio che da trent'anni fa parte del mondo politico iraniano, è veramente ciò che ci vuole perché l'Iran cambi? «La storia ci insegna che, ovunque, nel mondo, il modo migliore per sovvertire le dittature è agire attraverso coloro che conoscono quegli stessi meccanismi politici che si combattono; persone che quindi sono dentro quel mondo». Mousavi parla dei diritti della gente. La gente vuole la libertà e una vita migliore e lui ha dimostrato di essere dalla loro parte. Fino a quando Mousavi si mostrerà degno potrà continuare a rivestire questo ruolo. Ma nessuno impedisce al popolo di scegliere un altro leader. Insieme a Mousavi, poi, ci sono membri della società civile italiana: scrittori, studenti, professori. Lui rappresenta un gruppo di persone che tutte insieme compongono un movimento pacifico che si oppone ad Ahmadinejad». I processi nei confronti di quelli che hanno organizzato le preteste di giugno e le condanne a morte sono un segno di forza o debolezza per il governo? «Si tratta chiaramente di un segno di debolezza perché il governo ha paura che la gente tenti di rovesciare il suo potere. Dopo le proteste di al Quds (il 18 settembre scorso, giornata in sostegno del popolo palestinese, dr), il movimento ha dimostrato di essere ancora vivo e attivo. Per questo motivo il regime continua a cercare di intimidire la gente e di placare le sue aspirazioni». L'attentato di ieri in Baluchistan, è una questione interna o c'è chi dall'esterno agisce per destabilizzare l'Iran? «Questa è una questione esclusivamente interna all'Iran, frutto dell'atmosfera cerata da Ahmadinejad in questi quattro anni, nel corso dei quali il potere dei Pasdaran non è cresciuto, ma è diventato più violento. Questi gruppi esistevano anche al tempo di Khatami, ma le loro azioni erano meno violente perché il modo di governare dell'ex presidente era più politico».
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