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La filiera alimentare cinese: l'anti-etica al potere


  
 
Notazioni

Sicurezza alimentare - Cronache incredibili dal libro "La sicurezza alimentare in Cina"

Il quadro della situazione del proprio Paese che Zhou Qing dipinge è veramente incredibile. Questo giornalista è l'autore di "La sicurezza alimentare in Cina" (Edizioni Spirali, Milano, 2008), un libro-denuncia che raccoglie gli scandali alimentari riportati dagli organi di stampa nel corso degli ultimi anni in Cina e racconta alcune indagini in materia condotte dal giornalista stesso. L'opera gli ha permesso di vincere in Germania il Lettre Ulysses Award for the Art of Reportage.
Sfogliando le pagine del libro si passa dall'incredulità allo sconcerto, dallo stupore all'orrore. Addirittura si raggiungono picchi di sarcasmo e umorismo nero perché, se non ci fosse da piangere nel leggere tali e tanti casi di intossicazione raccolti dalla cronaca, ci sarebbe quasi da ridere amaramente per la fantasia illimitata dell'uomo e per la sua propensione alla truffa. Da una parte, ci sono la totale assenza di etica in un mercato che, a rigor di logica, in quanto non libero, dovrebbe essere ultra-controllato, la smania di arricchirsi, la sensazione che finché ce n'è bisogna approfittarne, che ognuno deve badare a se stesso. Dall'altra, c'è la più farraginosa delle burocrazie immaginabili, che coltiva solo il proprio orticello, che tira a campare e ad approfittarsene, che mente spudoratamente ai propri cittadini, ai propri superiori, agli altri Paesi.
Quando queste due facce della stessa medaglia si incontrano, danno vita a una realtà per noi difficilmente immaginabile, dove tutto è possibile e dove non c'è scampo per il singolo individuo. Oggi in Cina il settore alimentare è quello che raccoglie più denunce da parte dei cittadini, che sono vivamente preoccupati per la loro sicurezza.
La mentalità che sembra ancora prevalere in Cina è quella che porta a cercare ad ogni costo di raggiungere la produzione più elevata, ignorando la qualità del prodotto.
Anche gli organi di controllo non sono esenti da questa logica superata e deleteria: «per un campione di un etto di carne (che risulta contaminato) non possiamo andare da un allevatore e chiedergli di uccidere tutti gli animali; non abbiamo né tempo né soldi» è l'amara affermazione di un ispettore. Ma non è solo questo il problema. Da una parte c'è, infatti, la frammentazione delle responsabilità fra diversi enti, che porta all'inazione anche in caso di pericolo riconosciuto: «otto ministeri non riescono a gestire un maiale» mugugnano i consumatori. I funzionari fanno lo scaricabarile: ad esempio, il vice responsabile provinciale dell'agricoltura ha come obiettivo la quantità di carne prodotta, per cui si sente libero di contestare apertamente il divieto di introdurre clenbuterolo cloridrato nel mangime; tanto i problemi sanitari ricadranno sul responsabile del settore sanitario, che ha anche minor potere rispetto al vice responsabile provinciale.
Inoltre, gli interessi nascosti sono abbondanti: molto spesso i dirigenti comunali sono investitori negli allevamenti e nei macelli, e, di conseguenza, ostacolano in vario modo gli ispettori per non mettere a repentaglio i propri guadagni.
I grandi supermercati possono fare conto sui loro "appoggi" per non subire controlli; i piccoli rivenditori sono talmente tanti a fronte dei pochi ispettori e dei loro mezzi, che contano sempre di sfuggire ai rilevamenti. E così, malcostume, cupidigia, ignoranza e lentezze burocratiche condannano un popolo a mangiare veleno.
L'autore scrive accuse pesantissime a questo proposito: "ai funzionari non interessa molto il controllo sui maiali, il loro primo scopo è potere rilasciare certificazioni e permessi, intascare un po' di denaro". E, addirittura: "la gravità della situazione in materia di sicurezza alimentare diffusa in tutta la Cina è conseguenza di un sistema disposto a sacrificare tutto, pur di salvaguardare gli interessi del gruppo dominante". E infine: "la Cina è come la Russia, sta entrando in un periodo di trasformazione, di capitalismo mafioso".
Ormai, secondo l'autore, in Cina gli alimenti e la loro produzione sono utilizzati come strumento eversivo di protesta. Addirittura gli allevatori arrivano a crescere i maiali con due modalità, in base al mercato di destinazione: mentre i suini destinati al consumo locale non vengono trattati, quelli per la città ricevono le "sostanze per la carne magra", ovvero l'onnipresente clenbuterolo cloridrato e altri anabolizzanti. «Tanto i cittadini hanno l'assicurazione sanitaria"» è la risposta degli allevatori a chi pone domande di carattere etico. Si tratta di una vera e propria "vendetta di chi fa parte dello strato più basso della società contro una società ritenuta ingiusta nei loro confronti, che nega loro il diritto all'assicurazione sanitaria" teorizza l'autore.
Il clenbuterolo è la grande piaga di un Paese passato velocemente da una dieta granivora a una dieta carnivora: negli anni '80 il governo centrale ha optato per una politica che stimolasse e ponesse al centro del sistema produttivo l'allevamento del maiale. E, infatti, nel 2001 la FAO ha stimato la produzione suina della Cina in 42,4 milioni di tonnellate, pari al 46,1% della produzione mondiale. Dal 1990 è il primo produttore di carne del mondo (fin dal 1985 la Cina è il primo produttore di uova di animali da cortile del mondo). Il 62,23% della carne che i cinesi consumano è suina. Dal 1988 al 1998 il consumo di carne in Cina è raddoppiato: mensilmente, nel 2003, un cinese consuma 1,78 kg di carne. E la vuole magra. I cinesi sono disposti a pagarla 10 volte tanto quella con un buon pannicolo adiposo.
Nel corso degli anni '90, la "molecola che fa diventare la carne magra" (così viene chiamato colloquialmente il clenbuterolo) diventa, così, la pietra filosofale in mano ai contadini, quella che può permettere loro di moltiplicare i profitti. Siamo in pieno boom economico, arricchirsi non è più un reato - anzi i cittadini vengono incoraggiati a farlo - e gli allevatori non vogliono restare indietro nella grande corsa. Sono da sempre gli ultimi, ora vogliono riscattarsi.
Il clenbuterolo viene scoperto all'inizio degli anni '80 in Occidente; le intossicazioni che si registrano durante gli anni '90 fanno sì che venga bandito dalla zootecnia. Rivela, infatti, di avere effetti immediati e cronici (grave anemia) sulla salute. Nonostante gli allarmi registrati in Occidente, i cinesi - che cominciano a conoscere il clenbuterolo una decina di anni dopo la sua scoperta - vedono in questa molecola lo strumento per raggiungere risultati inattesi, per farsi belli agli occhi dell'amministrazione centrale, soddisfare la domanda interna di cibo e cominciare ad affacciarsi sul mercato mondiale. Il governo centrale per anni favorisce la sua diffusione, negando i pericoli ad esso legati. Poi, nel 1999 (anno in cui si bandiscono anche molte altre sostanze), il clenbuterolo diviene un ingrediente del mangime illegale. Ma la sua diffusione pare proprio essere ancora oggi capillare. Il quadro della situazione del clenbuterolo cloridrato che l'autore fa nel suo libro è anche un caso emblematico per comprendere come si possa giungere a situazioni come quella attuale. Tutti possono disporre di clenbuterolo e tutti partecipano alla sua introduzione nella filiera zootecnica. Il contadino lo compra frode dal veterinario, dall'allevatore suo vicino, dal mangimista, dal rappresentante delle piccole fabbriche chimiche illegali, dal farmacista del paese, addirittura dal primo passante che trova. L'ignoranza o la certezza di farla franca sono tali che il trattamento precede di pochissimi giorni la macellazione e così i residui nelle carni sono elevatissimi. E, infatti, il 25% delle carcasse di maiale presenti nel novembre 2001 in un mercato legale di Pechino erano positive a questa sostanza. Nella città di Suzhou, nel 2002, si rilevano fegati di maiale (un piatto di comune consumo in Cina) contenenti clenbuterolo per valori 5 volte superiori al livello massimo tollerato dall'uomo. Naturalmente si presentano ripetutamente casi di intossicazioni collettive, che colpiscono intere famiglie, ma anche tutti i dipendenti di un ufficio, tutti i soldati di una caserma, tutti gli alunni di una scuola, la gran parte degli abitanti di un paese, fino a diventare intossicazioni di massa con diverse centinaia di intossicati per episodio, alimentati con partite contaminate.
È difficile realizzare l'idea che una buona percentuale del cibo che si compra sia dannosa a causa della pessima qualità o della presenza di contaminanti. Soprattutto se, alle spalle, si hanno generazioni che hanno subito carestie, se i membri più anziani della comunità ricordano ancora la fame che fino a pochi decenni fa flagellava la Cina (il libro accenna agli innumerevoli processi istituiti ai danni di contadini che rubavano il mangime negli allevamenti collettivi per mangiarlo). Soprattutto, se il cibo è "un'ossessione culturale" e uno status symbol, se per la strada ci si saluta dicendo "hai mangiato?", se la soddisfazione e la felicità coincidono per tradizione con la pancia piena.
Ed è anche difficile per un governo ammettere che percentuali elevatissime del cibo in commercio siano da eliminare. È difficile per un'amministrazione fronteggiare l'emergenza che si creerebbe se si ritirassero dal mercato più del 70% delle verdure fermentate prodotte a Chengdu per eccesso di additivi (l'insetticida DDVP), l'80% del tofu perché prodotto in stabilimenti illegali che non soddisfano le più elementari norme igieniche, il 25% dei prodotti in scatola perché con troppi conservanti, il 40% dell'olio di arachidi per alterazioni dell'acidità e presenza di residui di solventi e di aflatossine, il 45,5% dei funghi perché lucidati con sostanze cancerogene, il 100% dei rombi del mercato di Shangai perché presentano nitrofurano, verde malachite, enrofloxacina, ciprofloxacina, cloromicetina, eritromicina, e altri farmaci vietati, il 25% della carne di maiale perché piena zeppa di clenbuterolo, il 100% degli youtiao (tipici bastoncini di pasta di pane fritti) per presenza di alluminio, l'87,1% della verdura e frutta secca perché contiene anidride solforosa ben oltre i limiti stabiliti dalla legge, ecc...
Secondo l'autore, il governo centrale pare essersi accorto della gravità della situazione, ma non è in grado di adottare soluzioni rapide ed efficaci. Al momento non esiste un sistema legislativo completo e organico sulla sicurezza alimentare: le leggi sono obsolete, i poteri di intervento sono deboli, le competenze sono disseminate fra numerosi dipartimenti, la gestione del mercato è disordinata, le pene sono risibili e, soprattutto, pecuniarie. Ad esempio, le commissioni responsabili dei controlli sulla sicurezza alimentare sono circa 10, fra cui quella per l'industria e il commercio, quella per la qualità, quella per la sanità, quella per l'agricoltura, quella per il controllo dei farmaci. Così ci si rimpalla le responsabilità, fra funzionari non si collabora e i responsabili non vengono puniti.
A livello produttivo si sommano ignoranza, incoscienza, menefreghismo, cupidigia, ottusità e una straordinaria fantasia nel trovare soluzioni produttive al di fuori delle regole e della ragione. A volte si tratta di truffe che paiono quasi burle: le melanzane primizie, una volta lavare, perdono l'inchiostro e mostrano la buccia ancora verde. Altre volte ancora si resta sconcertati dalla mentalità distorta dei fabbricanti.  Ad esempio, perché i produttori di verdure fermentate non adottano sistemi di protezione meccanica delle vasche di fermentazione? Semplici reti potrebbero evitare che gli insetti depongano le larve nella salamoia. Invece, la soluzione adottata è quella di spargere periodicamente abbondanti quantità di insetticida, quali il DDVP. Certo, si tratta di insetti da battaglia, tipi tosti: molto spesso la salamoia è composta da sali industriali, per intenderci quelli usati per non far depositare il calcare nelle caldaie, per produrre alcali, coloranti, saponi e detersivi.
I casi citati dall'autore sono innumerevoli. Il cibo deve avere un bel colore, si sa: così le fragole ancora verdi vengono tinte di rosso, le pesche bianche vengono bollite con i coloranti "giallo limone" e "giallo tramonto", gli gnocchi vengono conservati con lo zolfo, i boccioli di giglio vengono sbiancati artificialmente. Qualche anno fa in Europa si era diffuso l'allarme dei gamberetti cinesi al Sudan rosso. Roba sorpassata: adesso si usa il "rosso acido 73" o croceina brillante, un colorante del legno cancerogeno.
A metà fra governo e produttori ci sono i funzionari di partito che, molto spesso, con complicità, inerzia e corruzione, rallentano e vanificano gli sforzi del governo centrale, arrivando addirittura a mentire spudoratamente agli ispettori.
Ad esempio, prendiamo il caso del latte per neonati adulterato a Fuyang, il cui scandalo rasale al 2004 (si tratta di un caso diverso da quello analogo, ma ben più noto, che risale al 2008): i documenti ufficiali inviati al Consiglio di Stato erano falsi, compilati nottetempo dall'intero ufficio competente quando aveva capito che lo scandalo non poteva più essere nascosto sotto il tappeto. Man mano che le dimensioni della truffa crescono, di pari passo con lo sgomento dei consumatori, anche gli espedienti dei funzionari si moltiplicano. Arrivano a comunicare il licenziamento fasullo di alcuni dirigenti, a spiccare un mandato di cattura per i produttori e i rivenditori di latte mai messo in atto. Dopo qualche mese, quando lo scandalo perde di visibilità, i funzionari sono di nuovo al loro posto e i produttori non hanno subito alcun provvedimento; in compenso, ai bambini malati vengono sospese le cure mediche gratuite: "non hanno i requisiti per riceverle". Vaso di coccio fra i vasi di ferro, i consumatori vivono nell'inquietudine, ma acquistano e mangiano. Il libro riporta un sondaggio di una trasmissione televisiva dal titolo "Rapporto settimanale della qualità", secondo cui il 90% degli intervistati si dichiara preoccupato per la propria sicurezza alimentare e l'80% afferma di aver avuto problemi in proposito. Anche gli operatori del settore agroalimentare acquistano e mangiano. Il loro ritornello è: "noi non consumiamo mai i nostri prodotti, li esportiamo nelle altre provincie" dicono con candore. Già, come se pensassero di essere gli unici a fare i furbi. Ma è cosa nota che il destino delle volpi è in pellicceria.
L'immagine stupefacente che l'autore dà dei consumatori cinesi è quella di un popolo che da poco ha cominciato ad ampliare la gamma di alimenti, ad acquistare il cibo, a consumare prodotti nuovi. Come se fino a pochi anni fa facesse conto solo sui propri prodotti o accettasse di consumare qualsiasi cosa, essendo in preda alla fame. Come se si trattasse di bambini che non sono in grado di valutare la merce che acquistano, di difendersi dalle truffe più banali.
Una parte del libro, infatti, è dedicata ad alcuni suggerimenti e indicazioni per i consumatori che lasciano a dir poco stupefatti: "non consumare le uova fradice", "non bere il latte quando presenta dei residui", non consumare datteri avariati o marci", "acquista solo bottiglie di alcolici sigillate", "se il tal prodotto ha un odore acre o un sapore amaro non consumarlo" e così via. Se le cose stanno veramente così, chi li salverà?  (Giulia Mauri)

 
Relazioni
eco di stampa di La sicurezza alimentare in Cina (Libro)
Zhou Qing ( )





 
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