Non è il primo libro di Thomas Szasz che mi sorprende, già The Myth of Mental Illness, uscito nel 1961 e in italiano, Il mito della malattia mentale, nel 2003 edito da Spirali, mi aveva avvinto. Ma questo libro su Virginia Woolf, "La mia follia mi ha salvato". La follia e il matrimonio di Virginia Woolf, ancora una volta di Spirali, settembre 2009, è davvero fantastico. È fantastico soprattutto perché finalmente dice ciò che alcuni di noi, e sempre di più, pensiamo e abbiamo sempre pensato senza quasi poterlo dire, e cioè che la malattia mentale non esiste. È ancora di più fantastico perché a dirlo è proprio uno psichiatra, e non uno psichiatra qualsiasi, ma uno psichiatra di fama planetaria. Trascrivo una chicca che trovate a pag. 89: "La maggior parte della gente riconosce che gli individui e le istituzioni - la famiglia, i datori di lavoro, i tribunali, lo stato - talora ricorrono alla psichiatria come arma contro l'individuo, e attribuiscono il ruolo di malato di mente a determinate persone per controllarle, privandole, se necessario, della proprietà e della libertà. Ma sono in pochi a ammettere che i cosiddetti malati di mente spesso usano la psichiatria come scusa per assicurarsi speciali privilegi, o come arma contro i parenti o contro lo stato: essi assumono il ruolo di malato di mente, per controllare gli altri terrorizzandoli con la prospettiva del suicidio, o il ruolo di vittima della psichiatria per estorcere denaro altrui." E con questo tono così semplice e immediato Thomas Szasz indaga ed esplora la conversazione tra Virginia Woolf e suo marito Leonard e si sofferma ad analizzare i pro e i contro per ciascuno dei due coniugi della circostanza che Virginia sia o non sia malata di mete, fino all'analisi del gesto finale di Virginia che non per forza deve essere attribuito alla "malattia". La convenienza principale di una diagnosi di malattia mentale, oggi la più diffusa è la depressione bipolare, dice Szasz ed è comunque constatabile, è la facilità con cui tutta la negatività - l'aggressività, la pigrizia, l'indolenza, ecc. - viene attribuita alla malattia, salvaguardando la persona da qualsiasi responsabilità. Pure le cose positive troverebbero spiegazione nella bipolarità della malattia, nel senso che la "malattia" avrebbe un'attenuazione temporanea che permetterebbe al paziente una "vita normale" se non addirittura la "creatività" oppure la "malattia" sarebbe il contraltare della "creatività", una sorta di prezzo da pagare per la "creatività" - che, a sua volta, non esiste, evidentemente. La tesi del poeta come folle, del poeta posseduto da un demone era già una favola negli scritti di Platone e attribuita a Socrate. Aristotele ne fa una sistematizzazione che giunge fino a noi. È chiaro l'intento dei due dirigenti della polis: estromettere i poeti dal governo della città. E perché proprio i poeti? Perché i poeti usano le metafore e le metafore hanno un potere enorme, il potere di muovere la gente, il potere di sbalzare da un punto a un altro in un istante chi si imbatta nella metafora. E questo potere è molto temuto dai politici. Thomas Szasz, prendendo a pretesto il caso di Virginia Woolf, caso esemplare e ancor più suggestivo perché intervenuto nell'Inghilterra vittoriana, fa un'analisi della psichiatria moderna senza risparmiare notazioni e critiche non solo agli psichiatri ma anche ai cosiddetti pazienti e ai loro familiari, che spesso sono collusi, se non addirittura inducono, i comportamenti divianti che vengono poi opportunamente definiti malattia. [...] (Elisabetta Costa)
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