The Second Renaissance
     
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No alla dittatura delle minoranze


  
 
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Sarà uno dei tanti, non certo uno qualunque. Domani il regista polacco Krzysztof Zanussi incontrerà Papa Benedetto XVI insieme ad altri cinquecento illustri colleghi, a dieci anni di distanza dalla "Lettera aperta agli artisti" di Papa Giovanni Paolo II e a venticinque dall'omelia-autocritica di Paolo VI sui rapporti fra chiesa e produzione artistica. Nella sua carriera, cominciata quarant'anni fa con "La struttura di cristallo", Zanussi ha incontrato spesso le gerarchie ecclesiastiche. Su Wojtyla ha anche realizzato un film, "Da un paese lontano", e conosce l'attuale pontefice da quando era cardinale.
Nel suo cinema ha sempre affrontato temi "alti" dell'esistenza come l'amore, la morte, la giustizia, l'etica, il rapporto fra scienza e fede, conservando la grazia di un umorismo discreto e la gentilezza del sorriso. Premiato più volte, dal Leone d'Oro a Venezia nell'84 con "L'anno del sole quieto" al Festival di Roma 2008 per "Col cuore in mano", direttore degli studi cinematografici polacchi Tor, Zanussi è nato a Varsavia nel '39, come racconta nella sua autobiografia "Tempo di morire", appena uscita (Spirali, 330 pagine, 25 euro). Parla al telefono nel suo italiano fluido, ricco, in cui le parole conservano quella pienezza di senso che si va perdendo nell'ansia di semplificazione che sta contagiando la cultura occidentale.

Non le sembra passato un secolo da quando dieci anni fa Papa Wojtyla chiamava gli artisti "geniali costruttori di bellezza"? Oggi ci sono ministri che li definiscono "parassiti" e "accattoni"...
«Se è per questo, ricordo anche il vostro Rocco Buttiglione che come commissario europeo usava un linguaggio poco adatto al suo incarico. No, non credo in una svolta epocale, sono solo sfortunate coincidenze. Per fortuna le parole dei politici passano velocemente, durano un anno, un mese, poche ore. Quelle dei leader spirituali, invece, rimangono».
Qual è il suo rapporto con le gerarchie ecclesiastiche?
«Li considero degli impiegati di Dio. Non sono un clericale, nessun credente ha l'obbligo di esserlo».
Le piace l'attuale Pontefice?
«È un accademico, uno studioso: è questa la chiave per leggerlo. Conosco quel mondo e non mi sento frustrato. D'altronde nessun capo spirituale o politico, andrà mai bene al cento per cento».
Come giudica la probabile beatificazione di Giovanni Paolo II?
«È una simpatica notizia, ma non ha un'importanza cruciale. Non modifica il mio giudizio né quello di chi stimava Karol Wojtyla. Conosco tante persone che considero sante e che non saranno mai ufficialmente santificate».
Vuol dire che la "santità" è più legata all'umano che al sacro? Parla come un laico...
«Abbiamo bisogno di santi ed eroi, persone al di sopra dell'uomo medio, esemplari, soprattutto oggi che viviamo la dittatura della mediocrità. E il sacro, la sacralità, riguarda anche i laici, perché la vita è sacra. Per tutti».
Cosa pensa delle polemiche innescate dalla recente sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo contro il crocifisso nei luoghi pubblici?
«È pericoloso pensare che rispettare i diritti delle minoranze possa destabilizzare una società, ma d'altro canto non si può creare una dittatura delle minoranze. Bisogna trovare un equilibrio, essere realisti. La croce è un simbolo naturale, in un Paese a maggioranza cattolica. Se vivessi in un Paese musulmano, non avrei il diritto di sentirmi offeso dai loro simboli».
Lei si sente mai fuori moda?
«Nell'arte seria non esiste la moda. La morte, l'amore, l'etica, sono temi di sui si occupavano Euripide e Shakespeare. Oggi forse è aumentata la visibilità della cultura più popolare, ma io credo che esista tuttora un pubblico più esigente. Semplicemente è più disperso, non trova facilmente nelle sale il cinema che preferisce. Ho molta fiducia in Internet, che favorirà l'incontro fra persone che condividono gli stessi gusti».
Quattro anni fa, nel suo film "Persona non grata", dove raccontava la malinconia di un ex diplomatico di fronte ad un mondo cambiato forse troppo velocemente, lei esprimeva alcuni dubbi nei confronti della svolta polacca.
«La somma è positiva, anche se molte cose mi mettono tristezza. Soprattutto il fatto che in tanti, non tutti, sono diventati cinici. Il potere corrompe facilmente, pochi resistono al suo lato negativo. Guardo con molto interesse le persone di potere, perché hanno potere sulla nostra vita. E quando parlo di interesse, alludo allo studio di queste persone, non all'ammirazione. Vedo il potere come un servizio ed è una visione rispettata da pochissimi, non solo in Polonia».
Nella sua autobiografia, uscita nel '97 e solo oggi arrivata in Italia, lei dice che è ora di chiudere i conti con il passato comunista, con gli eroi proletari, con l'imposizione di un'estetica di stato.
«A questo allude il titolo, "Tempo di morire", che sembra lugubre e invece è una battuta di spirito, pronunciata da un meraviglioso attore, Jerzy Leszcynski, quando incontrò un giovanottone, il tipico eroe proletario, appunto, che gli si presentò come "collega". Gli disse: "Se lei è mio collega, allora è tempo di morire". Comunque, è eccessivo parlare di autobiografia, non c'è un ordine cronologico, semplicemente metto insieme un po' di ricordi, di riflessioni, di persone che ho conosciuto. Per esempio Giulio Andreotti, che ha marcato nel bene e nel male la storia d'Europa».
(Maricla Tagliaferri)

 
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