Molti, anzi troppi, a Mosca considerano ancora un mito il dittatore dei gulag. Il grande scrittore russo racconta come superare i totalitarismi e fare i conti con la Storia. Anche ridendo dei propri difetti.
«La Russia oggi è la terra dei nuovi miliardari, ma non cambia mentalità: un mio romanzo su una bella e disinibita ragazza è stato definito pornografico»
Il più grande difetto dell'uomo russo è quello di non essere venuto a patti con il proprio passato, diversamente da quanto hanno fatto i tedeschi con la questione del nazismo. Nella mentalità russa, infatti, è ancora ben radicato il mito del Buon Stalin, per utilizzare il titolo di un mio romanzo, oltre che una delle immagini che la propaganda ha più inculcato nelle teste del popolo russo. Nelle loro coscienze non è ancora avvenuto quel processo che li spingerebbe a superare la propria storia: il dittatore è ancora considerato un dio, ed essi vivono all'ombra e nel rispetto di questa divinità. Ne Il buon Stalin racconto fatti realmente accaduti. Descrivo la storia della mia vita, il rapporto che avevo con mio padre, che era un funzionario molto vicino a Stalin. Ho vissuto quegli anni sulla mia pelle, e anche grazie a lui, che era tanto comunista sul lavoro quanto liberale in famiglia, sono riuscito ad aprire gli occhi sulla Russia. È molto difficile, in quanto scrittore, comunicare con il popolo russo senza correre il rischio di essere respinto, di essere giudicato subito un cattivo scrittore. Ho cercato di sviluppare alcuni metodi per parlare alla sua coscienza e, tra tutti, il più efficace è stato forse l'ironia. L'ironia è per noi, per me, per chi ha superato il trauma del passato, l'unico modo per confrontarsi con la propria storia, perché chi è capace di ridere è stato capace di superare quei momenti difficili. E, soprattutto, chi riesce a scherzare ha buona probabilità di far ridere anche gli altri. Questo è il mio modo di scrivere, e questi sono i miei libri: una risata, anche quando non affronto direttamente la storia nazionale. Ed è una risata, sia chiaro, che vuole essere soprattutto un vomito di liberazione: se ridi in faccia al nemico, il nemico rimane disorientato. L'ironia è uno strumento devastante, di cui l'anima russa di oggi dovrebbe impossessarsi. La Russia come terra dei nuovi ricchi, dei miliardari, è una rappresentazione senz'altro vera. Ma oggi come un tempo la sua mentalità più profonda non è cambiata. Molti anni fa venni giudicato uno scrittore pornografico, solo perché in un romanzo, La bella di Mosca, avevo rappresentato l'amore disinvolto e sfrontato di una giovane, Irina. Allora era un argomento quasi tabù, di cui non si voleva parlare, e tuttora va spesso incontro a un ostracismo. Allora quel romanzo fu uno shock: forse è di questo, veramente, che la società russa ha bisogno. Il russo odia essere giudicato, non solo dagli stranieri, ma dai suoi connazionali. Certo, è una caratteristica che potrebbe accomunarlo ad altri paesi del mondo, ma un russo vive questo timore in maniera particolarmente intensa. Per questo, nell'Enciclopedia dell'anima russa (Spirali, 2006) ho trovato un secondo modo per rivolgermi a lui: non dare giudizi, ma porli di fronte a una situazione. Ho riunito in questo libro i più diffusi stereotipi sul popolo russo, le frasi che ognuno di noi sente pronunciare dalle madri e dai padri sin dal primo anno di vita, ma senza prendere direttamente posizione. Ho posto il lettore di fronte a uno specchio e gli ho detto: "Questo è ciò che pensi del popolo russo, ti riconosci?". (A cura di Michele Bertinotti)
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