L'INTERVISTA Ebrahim Nabavi, dissidente iraniano al Don Bosco
Alla presentazione del libro "Iran. Gnomi e giganti paradossi e malintesi" (edizioni Spirali), all'auditorium Don Bosco, Ebrahim Nabavi e la sua compagna indossano un braccialetto e un foulard verde. Un verde brillante che illumina il sorriso e colora le parole. Da noi si dice verde speranza ma in Iran e per Nabavi è molto di più. Specialmente dal 12 giugno, quando 2 milioni di persone sono scese in piazza con le bandiere verdi, il colore dell'opposizione, per protestare contro i risultati elettorali giudicati fasulli che hanno confermato Ahmadinejad alla presidenza. Il popolo si è ripreso la parola, quella parola che a Nabavi è costata due volte il carcere per "offesa contro i dirigenti del regime". Eppure proprio in Iran, e questo è uno dei tanti paradossi di cui parla nel libro, ha ricevuto il Premio libertà di espressione e poi, nel 2000, proprio il giorno del suo secondo arresto durato 18 mesi, il Premio per la miglior satira. Dal 2003 vive esule in Belgio e non è più tornato nel suo paese. Oggi è uno degli intellettuali iraniani più conosciuti al mondo soprattutto per la sua satira graffiante che smaschera gli abusi e le falsità del regime. Un regime fatto di "gnomi" che impediscono al popolo (i giganti) di emergere. Ma il suo sogno rimane quello di tornare in Iran e vedere il suo libro nelle vetrine. Nel libro ha scritto "i nostri incubi di ieri saranno i ricordi di domani". Quali sono i suoi incubi e i suoi ricordi adesso? «Il mio incubo è il sogno del presidente Ahmadinejad, e cioè che la situazione rimanga così. Mentre l'incubo del presidente è che io ritorni in Iran». La satira aiuta a liberarsi dagli incubi? «La satira aiuta ma fino ad un certo punto. Dietro c'è una realtà molto paurosa». Lei ha scritto 50 libri... «Mi considero fortunato perché sono riuscito a dire le mie opinioni a persone interessate a sentirle. In un mondo con tanti ostacoli alla democrazia questa è una cosa importante». Un anno fa in una intervista diceva "neppure i giovani protestano più". Oggi sono tutti in piazza. Si era sbagliato o è uno dei paradossi della società iraniana? «È un tipico paradosso. Eravamo tutti molto delusi ma le cose successe negli ultimi sei mesi mostrano che possiamo essere ottimisti». Diceva anche che noi italiani possiamo capire bene il linguaggio satirico perché abbiamo una situazione politica bizzarra. Qualche esempio? «Anche in Italia c'è molta confusione e la politica è un po' un gioco. Chi va al potere, come in Iran, non se ne va più». Com'è la situazione in Iran adesso? «La situazione cambia ogni 10 giorni perché il governo è indeciso. Ci sono 5 condannati a morte, arrestati prima delle proteste del 12 giugno, ma il governo vuole solo spaventare la gente. Qualsiasi strada sceglierà, quella dell'oppressione o quella dell'apertura, sarà un fallimento». (Silvia Trentin)
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