Difficilmente capita di imbattersi in un libro così disincantato, gradevole e utile come questo che parla dell'immagine a medaglia rovesciata (cinema, fotografia, tv, opera d'arte). Vi sono presentate varie finestre aperte sul vero e sul falso, l'esistito e il mai-esistito, le revisioni, i copiosi pretesti per trovate fantasiose in cui storia e poesia si confondono. L'autore è Paolo Pillitteri, il volume si intitola «Non è vero ma ci credo» (Spirali ed., 400 pp., 20 Euro). Ex-docente universitario di storia del Cinema, autore di film-documento e di libri lavorati sul filo di una spiccata dimensione introspettiva, l'autore ci fornisce una predella per saltare all'interno delle pagine. Si tratta di tre luoghi comuni che denunciano il devastante potere dei mezzi d'informazione: «l'ho visto in tv», «lo ha detto la radio», «ho avuto occasione di vedere un film, proibito in Italia, che mi ha aperto gli occhi». Creduloneria dell'incultura. Non solo. Tipica è «la crepa cognitiva che si è venuta a creare fra comunicazione iconografica e coscienza etica», specie dopo l'avvento dei cosiddetti «occhi tecnologici». Ma addentriamoci nel teatro acrobatico del libro, spigolando tra i molti episodi ispezionati con una lunga e pazientissima ricerca. Tra le vacillanti questioni irrisolte, ecco l'enigma della Sindone; foto vere, false, taroccate? E la celeberrima «Corazzata Potemkin» di Eizenstejn - quale aderenza tra i fatti veri e quelli narrati? Tagli, fac-simili... un immenso villaggio Potemkin falsificato, cancellato, rifatto, fu presentato al Centre Pompidou di Parigi a dimostrare gli sfregi o le aggiunte operate sul film a secondo delle necessità sovietiche. E quel cult-movie intitolato «Casablanca»? Nella versione italiana sono state modificate addirittura le battute, perché - girato nel 1942 - doveva essere un film di propaganda bellica, ma - giunto da noi nel '45 - lo scopo non aveva più senso. Appunti curiosi sul «Quo vadis?» sponsorizzato da Pio XII, sui Vangeli, mero pretesto per operazioni commerciali, su Luchino Visconti che non girava senza l'imprimatur di Togliatti, sulla «Primavera di Praga» edulcorata, per non parlare della trionfante e ridicola fisicità inventata dai dittatori al fine di esaltare se stessi in una ronda di immagini da glamour giocata sugli stimoli e le emozioni. Mussolini creò Cinecittà pro domo sua, avendo ben capito l'importanza di manipolare i mass-media dietro il paravento di educatore del popolo. E il documentario su Terezin - il «ghetto» così bello, pieno di cuscini, fasce, giocattoli pennarelli colorati -, una pellicola falsa da mostrare agli ispettori della Croce Rossa, caso mai si fossero presentati per una visita... Quasi tutti i detenuti di Terezin, in gran parte bambini, morirono nelle camere a gas. L'enigma, con stridula dissonanza, domina il libro e sembra cronometrare gli eventi in un dinamismo da pistoni e stantuffi. Ci sono eventi sbianchettati in fretta, persone tolte dalle foto. Del tutto dimenticato lo studente sovietico Sergej Sokolov che, sino al rapimento di Aldo Moro, era stato l'ombra del leader democristiano, suo fido «borsista»: svanito in Via Fani, ricompare dopo qualche tempo come ufficiale del Kgb. Le taroccature imperversano. Dov'è sparito Dubcek in una foto sgradita ai sovietici che presero male il tentativo della svolta libertaria ceca? Nella prima immagine eccolo, in quella epurata non più. Naturalmente si arriva anche alle fiction televisive manovrate sotto forma di «riviviscenza» e come fissate in uno stampo ab aeterno. Perché Gramsci somiglia a un requiem? Ed è credibile Moro sospeso in un'aura cechoviana, i moti lenti di un palombaro nell'acqua? Soggetti a quante e quali dissolvenze i video del terrore di Al Qaeda? Frangere la piattaforma dell'immagine è tipica del mondo legato al vedere. E dunque l'autore si mette di fronte anche a un'opera divenuta icona ideologica: «Guernica». A parte il valore critico, cui manca ancora il peso del tempo, il «manifesto» Guernica vive di falsità: il rigoroso storico spagnolo Pio Moa dice che i morti del famoso bombardamento non furono 3.000 ma 120, più 30 feriti. Una manipolazione molto usata da quei «partigiani della pace» ideati da Stalin - bella menzogna, perché il copyright della definizione, scrive l'autore, va al Manzoni dei «Promessi sposi» nel celebre capitolo dell'assalto ai forni. Chiude l'intrigante lavoro un omaggio a Luca Comerio, pioniere e padre del cinema italiano, nel 70° della morte. Solo gli esperti lo conoscono (eppure fu lui a fotografare le giornate di Bava Beccaris e ad eseguire la prima ripresa cinematografica aerea): è una cerniera molto sentita da Pillitteri che vede in Comerio un punto fermo nel tramenìo di maschere, di incastri, di contraffazioni e di bugie per le quali credere a ciò che si vede è sempre più difficile. (Curzia Ferrari)
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