«Subito dopo il disastro di Smolensk molti hanno pensato "ancora i russi". Ma i russi, accettando un'inchiesta congiunta, hanno fugato ogni sospetto»
CRACOVIA - «Per comprendere la portata dell'evento che la Polonia sta vivendo - dice al Corriere lo scrittore francese Marek Halter, nato nel 1936 a Varsavia e scampato al ghetto - dobbiamo ricollegarlo al passato di questa parte d'Europa, ricordando che se la storia è un flusso di avvenimenti oggettivamente ricostruibile, la memoria è selettiva. Europa orientale e occidentale conservano memorie diverse del Novecento». Quanto ha pesato questa selezione nella percezione del disastro di Smolensk? «L'antica rivalità e la dominazione sovietica hanno scavato a fondo nella coscienza polacca. Il fatto che la delegazione del presidente Lech Kaczynski fosse il viaggio per Katyn, dove Stalin sterminò l'élite intellettuale e militare della Polonia, ha ravvivato quel pensiero sopito, "ancora i russi". Da qui le ipotesi delle prime ore su sabotaggi e trame occulte: chi avrebbe tratto vantaggio dalla scomparsa di un leader convinto della necessità di costruire basi americane perché diffidente verso quell'Europa che già in passato aveva venduto Polonia e Cecoslovacchia a tedeschi e sovietici? È riemerso il timore remoto di un attacco nemico, i russi sanno interpretare questi riflessi e hanno visto subito quanto fosse delicata la situazione. Accettando l'inchiesta congiunta, per la prima volta hanno messo da parte l'orgoglio, riconosciuto la legittimità dei dubbi della controparte e capito che era loro dovere agire per fugare ogni sospetto». Dove porterà il riavvicinamento russo-polacco? «L'evento è complesso, c'è sempre il rischio che nel lungo termine il trauma radicalizzi le vecchie ostilità, come dice Freud siamo impastati di storia e oblio, le conseguenze non sono scontate. La Polonia è ormai un Paese leader in Europa, un gigante demografico al centro del continente che con il suo voto può orientare le decisioni dell'Ue. La posta in gioco è troppo alta per tutti, Mosca non può permettersi di alienarsi i polacchi, Varsavia deve fare attenzione a non perdere forza politica, l'Europa ha bisogno della Russia». Ci sono dubbi anche sulla tenuta della ritrovata unità nazionale. La stessa sepoltura a Wawel è stata giudicata divisiva da intellettuali e parte dell'opinione pubblica. «Wawel non è stata una buona scelta soprattutto perché ha confermato la politicizzazione della Chiesa polacca. D'altronde tutti gli Stati nazionali hanno costruito la propria identità su un nucleo centrale, la Germania sulla lingua, la Francia su laicità e giacobinismo, la Polonia sulla Chiesa, in origine artefice dell'unificazione delle tribù slave. Fu il re polacco Jan III Sobieski a guidare l'esercito che fermò gli ottomani nel 1683 a Vienna. La Chiesa polacca ha una componente militante molto forte, è stata uno dei pilastri della resistenza al nazismo e al comunismo. Il cardinale Stanislaw Dziwisz si colloca nel solco di papa Giovanni Paolo II, nella tradizione del cattolicesimo che ha combattuto il regime sovietico al fianco di Solidarnosc. La decisione di seppellire a Wawel un presidente caduto nell'esercizio delle sue funzioni mentre era diretto in Russia per l'anniversario di Katyn risente di questa storia oltre che della sensibilità di un popolo che si è sempre considerato un martire d'Europa e ha preservato con ostinazione la propria cultura opponendola a un destino di esili conquiste, una cultura nella quale Wawel è il simbolo dell'indipendenza». In un momento così difficile per la Chiesa nel mondo, in Polonia si svolge la battaglia in difesa di uno degli ultimi bastioni del cattolicesimo? «È possibile. Di certo c'è preoccupazione per la secolarizzazione che avanza tra i giovani lì e nel resto d'Europa e che investe temi critici come la contraccezione e l'aborto, sui quali le forze cattoliche più liberali e quelle più estreme come Radio Maryja fanno fronte comune. Le pur limitate proteste per Wawel hanno espresso anche un certo disagio del mondo laico. Una battaglia tra religione e laicità è esplosa in maniera inattesa. La Chiesa può vincere nel breve periodo ma con il tempo le frustrazioni di parte della società potrebbero prevalere». (Maria Serena Natale)
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