È necessario sgombrare il campo da tanti pregiudizi che poco hanno a che fare con un esatto concetto di Dio. Molte volte, infatti, l'ateo nega un Dio che non è affatto il vero Dio. Tra le molte vie che indica la riflessione cristiana, oggi sembrano particolarmente percorribili la cosmologia scientifica e la questione del senso.
Rubo l'espressione del titolo di questo articolo ad un maestro di vita spirituale del nostro tempo, F. Varillon, il quale si diceva ben consapevole del rischio a cui va incontro chi si prefigge un compito del genere, però ugualmente convinto che non si può «lasciar dire che Dio non è oggetto di prova». È vero che, se questa espressione è oggi sospetta a molti, «non è solamente una questione di moda. L'attuale discredito del razionale nella preoccupazione pastorale non è l'insorgere improvviso di un irrazionale voluto come tale. Quando considero seriamente i suoi motivi, percepisco che non posso più lasciar dire puramente e semplicemente che Dio è oggetto di prova». L'Essere Assoluto non è nelle condizioni di tutti gli altri esseri, quelli che noi chiamiamo relativi o contingenti. Un pensiero che non deve sfuggire a nessuno di coloro che si pongono il problema dell'esistenza di Dio. La nostra intelligenza dovrebbe essere ben consapevole di tutto questo e, per tale motivo, mostrarsi prona a esercitare il proprio potere di autocritica. [...]
[...] Molte volte l'ateo nega un Dio che non è affatto il vero Dio. Quando, per esempio, Sartre afferma. «Non voglio che Dio esista», a quale Dio si riferisce? Al Dio padre-padrone, giustamente rifiutato negli anni della rivoluzione culturale, o al Dio nemico dell'uomo, oggi più di sempre geloso assertore della sua libertà e della sua autonomia? [...]
[...] Di vie capaci di indirizzare l'uomo a Dio l'attuale riflessione cristiana ne indica molte. Vogliamo ora concentrare la nostra attenzione su alcune in particolare, quelle che, a giudizio di chi scrive, sembrano le più opportune nell'attuale clima culturale. Una si rifà alla concezione dell'universo, alla cosmologia scientifica, che ha fatto oggi enormi progressi e che sta suscitando una sempre maggiore attenzione da parte dell'opinione pubblica in generale. L'altra riprende in esame l'eterna questione del senso, assai assopito nell'uomo contemporaneo.
Perché c'è qualcosa e non il nulla? Una domanda basilare, primaria, radicale. Una domanda che disturbava la mente di quel laico serio e onesto che risponde al nome di N. Bobbio, una domanda che certamente appartiene alla filosofia, ma, prima ancora, all'uomo in quanto tale. A questo proposito si possono citare filosofi di grande nome come G. Leibniz, F. Schelling, M. Heidegger e tanti altri, specialmente in questi ultimi tempi. Una domanda che si pone anche F. Varillon nel libro citato in precedenza, aggiungendo una nota particolare: "Perché c'è qualcosa e non il nulla?". Più radicalmente ancora, dato che l'interrogante non può escludere se stesso dalla domanda: "Perché sono qui a dire perché?". Una domanda che riemerge inesorabile e continua, soltanto che uno si metta a riflettere seriamente su se stesso e sulle cose che lo circondano. Qualche tempo fa fece scalpore la presentazione di questo argomento fatta su un grande quotidiano italiano di un libro dello scrittore accademico di Francia Jean d'Ormesson, intitolato La creazione del mondo (Spirali, Milano 2007), che riprendeva l'antica domanda e la esponeva con uno stile popolare e accattivante. La domanda esula dalle competenze della scienza, diceva giustamente l'autore in un dialogo serrato che sta al centro della sua pubblicazione: «La scienza risale fino ai primi secondi dell'universo, quindici miliardi di anni prima di te. Regna sul tuo mondo e la tua vita e ti rivela quasi tutto del "come?" delle origini. Non ha progredito di un millimetro nella scoperta del "perché?". Su quel terreno, non è avanzata e non avanzerà mai, perché non sono affari suoi. Dio è di un altro ordine che la scienza e il genio degli uomini» (p. 74). Allora, ancora la domanda: «Cur aliquid potius nihil?» (Perché c'è qualcosa e non il nulla?). Risponderà il filosofo, il teologo o, se vogliamo, l'uomo in quanto tale. Non lo scienziato. Siamo qui alla radice del problema che, nonostante tutto, viene ancora ripresentato con la vecchia e arciconsunta formulazione: evoluzione o creazione?, non pensando che la prima appartiene al mondo dei "come" e la seconda a quello dei "perché". L'evoluzione spiega il divenire degli esseri partendo da un punto iniziale, il big bang di quindici miliardi di anni fa, fino ai nostri giorni. Ma quella molecola iniziale da dove salta fuori? Il problema sta tutto qui. Perché uno dei due: o quella molecola è eterna, autosufficiente, assoluta (e allora è la stessa cosa che Dio), oppure rimanda a qualcos'altro, meglio a qualcun altro, che le dia la possibilità di esistere, togliendola dal nulla. Ma una ragione sufficiente o di qua o di là ci deve pur essere. Lo scienziato si fermi pure a questo punto, ma l'uomo assolutamente non lo può, pena rinunciare alla sua ragione. Ma quale consistenza ha la prima ipotesi? Come è possibile che una particella di materia abbia le stesse caratteristiche dell'Assoluto e che abbia in sé la capacità di dare origine a esseri superiori a se stessa, come gli esseri viventi, gli animali e, soprattutto, l'uomo, dotato di intelligenza, di libertà, di spiritualità? Vista all'inizio come un ostacolo alla fede in Dio, ai nostri giorni la dottrina dell'evoluzione è diventata un'alleata fedele del credente. [...] (Giordano Frosini)
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