Il cognome è facile, Zanussi. È con il nome che iniziano le difficoltà, almeno a scriverlo: Krzysztof. Celebre regista cinematografico (con L'anno del sole quieto ha vinto il Leone d'oro a Venezia nel 1984), scrittore, amico personale di Giovanni Paolo II, Zanussi è stato in Italia in questi giorni (a Pordenone, Udine e Venezia, per l'esattezza) per presentare il suo ultimo libro, Tempo di morire, edito da Spirali. Perché un titolo così duro, quasi scostante? In realtà è un titolo pieno di speranza: «tempo di morire» significa chiudere con il passato, iniziare una vita nuova. Per noi polacchi questo invito di san Paolo è diventato particolarmente pregnante dopo la caduta del comunismo. Da noi c'era l'homo sovieticus, una specie ideologica di uomo, una forma mentale da cui è difficilissimo riuscire a liberarsi. È questo che deve morire, per ricominciare da capo. Però, durante gli anni dell'homo sovieticus, in molti paesi dell'Est il cinema ha prodotto opere eccelse: basta pensare ai film di Tarkovskij... Sì, certo, l'arte è riuscita a volte a farsi sentire, ma solo nei periodi di crisi del regime. E attenzione: qualsiasi illusione che il comunismo fosse buono per l'arte è appunto una tragica illusione. Certo, una società sofferente ha una forte sensibilità per l'arte. Ma non possiamo essere nostalgici di quando la gente soffriva. E adesso, com'è l'uomo che ha scoperto la vertigine della libertà? Appunto, nella vertigine. Una grandissima confusione alberga nella testa dei miei connazionali. Ma ci sono anche segnali estremamente positivi: la Polonia è il primo paese al mondo per impegno nel volontariato. E il cinema polacco? Molto bene: Katyn di Andrzej Wajda è stato un film eccezionale, che ha saputo reinterpretare un momento tragico e cruciale della nostra storia. A che cosa sta lavorando ora? A un nuovo film, Corpo estraneo, che parla di uomini aggrediti dalle donne. Sa, per me il femminismo è come il colesterolo: c'è quello buono, indispensabile per la nostra salute, e c'è quello cattivo... (Luigi Paini)
|