Virginia Woolf era pazza? Certo, ma diventare madre avrebbe potuto evitarle di diventarlo. Questa, in estrema sintesi, la tesi che il celebre psichiatra americano Thomas Szasz mette nero su bianco nel libro La mia follia mi ha salvato, la follia e il matrimonio di Virginia Woolf. Il grande vecchio della psichiatria racconta in modo analitico la vita di Virginia Woolf, dall'infanzia fino alla fine tragica. Della scrittrice inglese, Szasz ripercorre le tappe principali che le hanno segnato la vita: i rapporti con il padre, la famiglia, gli amici, i personaggi del circolo Bloomsbury e il marito Leonard. Proprio quest'ultimo, secondo lo psichiatra americano, è stato colui che ha impedito alla Woolf di realizzare il proprio desiderio di maternità, spingendola nel vortice senza ritorno della malattia mentale. I due, secondo lo psichiatra – che in questo libro porta alla luce una tesi nuova sulla follia della scrittrice anglosassone – erano uniti in matrimonio da una reciproca repulsione. «Virginia – scrive l'autore – vedeva Leonard come l'ebreo estraneo e disgustoso, Leonard vedeva Virginia come il genio folle». Nei diari della Woolf sembra emergere addirittura l'antisemitismo di Virginia. Il titolo del saggio, La mia follia mi ha salvato, è una frase che la Woolf scrive in una lettera del 1924 al pittore e amico Jacques Raverat. La follia l'ha salvata da che cosa, si interroga lo psichiatra. Da qualcosa che avrebbe invece potuto guarirla: «Dal far seguire alle parole i fatti, dal conciliare la conoscenza di sé con la sua condotta personale». Comunque sia il rapporto con il marito determinò tutte le scelte della Woolf: nelle sue gioie e nelle sue sofferenze, nella sua scrittura, nei suoi rapporti privati e pubblici, nel modo ambiguo di vivere la propria follia e nelle relazioni con coloro che ebbero l'incarico di gestirla.
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