Un filosofo che parla chiaro (per quanto chiaro possa suonare un filosofo alle orecchie della gente comune). Un libro che pone quattro grandi questioni, di quelle che nella vita è difficile evitare, nonostante l'esercizio di tutte le possibili distrazioni: libertà, morte, amore, sopravvivenza. Le due strade della filosofia (Spirali, pp. 250, euro 20, trad. di Luciana Brambilla) è l'ultimo lavoro di André Glucksmann, 73 anni, un pensatore accreditato a cui di conseguenza tocca rispondere alle domande dei giornalisti. Lo fa con molta cortesia ed eleganza, sui divani di uno degli alberghi più lussuosi di Milano. E invece, guardi un po', ci tocca cominciare con la parola "crisi", una parola che si sente ripetere continuamente. «Io la affronto dal punto di vista dell'etimologia, dell'origine della parola. Crisi viene dal greco krinein, giudicare, pensare, e decidere. Di conseguenza è del tutto normale tra gli uomini. Se è diventata così pericolosa e catastrofica è perché in origine gli uomini erano fatti per capirsi. Ma adesso all'origine di ogni crisi c'è quello che mi piace chiamare il panglossismo, dal Candido di Voltaire, la convinzione di vivere nel migliore dei mondi possibili. Che i governi siano intelligenti e astuti. Pensare che la crisi non possa più esistere è quello che la fa tornare». Vale anche per la politica? «Certo. Prendiamo il caso della Russia. Pensare che l'aver rimosso il marxismo porti automaticamente all'instaurazione di un regime democratico, da cui non ci sia nulla da temere, è sbagliato. Il miracolo economico infatti non c'è stato. L'ideologia di tutte le élite occidentali è che non ci sia più niente da temere». Allora che cosa dobbiamo fare? «Prendere delle precauzioni. Guardare in faccia i rischi, senza catastrofismi. Non come gli ecologisti che dicono che il sistema è cattivo. In realtà in ogni sistema ci sono degli antagonismi. Ecco perché nel libro parlo di Heidegger. Lui pensava che con Hitler non ci fossero rischi. Purtroppo Hitler non era un nazista intelligente come Heidegger. Ma dopo la guerra Heidegger ha detto che tutto era perduto e ha sviluppato una teoria di un nichilismo sfortunato. "Solo un Dio ci può salvare", ha detto, anche se non credeva in Dio. Era convinto che ormai a regnare fosse la tecnica, e che i padroni della tecnica fossero gli americani». Lei in questo libro si diverte, all'inizio, a mettersi nei panni di Socrate e di Heidegger, a parlare come immagina parlerebbero loro se fossero qui. «Sì, erano persone che rischiavano la vita per le loro idee. Socrate ci ha rinunciato coscientemente. È la qualità dei dissidenti. Socrate e Solgenitsyn sono dissidenti allo stesso modo». Ma come si fa a non aver paura di morire? «Socrate è morto perché sapeva che solo morendo avrebbe compiutamente realizzato se stesso. Nel puro nazismo il guerriero trova compimento nella morte. Socrate non è un guerriero, semplicemente pensa che la morte, inaspettata, rende tutti gli uomini uguali. Nella vita non siamo tutti uguali. Nella certezza della morte e nella sua non prevedibilità, sì». È per questo che gli dèi non hanno bisogno di filosofia? «Gli dèi greci no. Anzi, loro per non annoiarsi e per avere l'idea del tragico hanno bisogno di far fare le guerre agli uomini. In fondo è anche un'idea cristiana. Cristo è obbligato a morire». Lei batte spesso sul tema del nichilismo. Come lo intende, come rifiuto di credere in qualunque cosa? I nichilisti della letteratura russa non erano certo delle teste vuote... «Il personaggio, per esempio, di Bazarov in Padri e figli di Turgenev è piuttosto ambiguo, in effetti. Poi abbiamo Dostoevskij e persino Checov. Il nichilista diventa una figura sempre più distruttiva. All'inizio è un partigiano della scienza, ma a poco a poco diventa un distruttore della famiglia e della società. La letteratura russa mette in luce questa volontà di distruzione. In questo è stata profetica. Certo, si può distruggere anche in nome della ricostruzione, ma si tratta pur sempre di volontà di distruzione». Lei ha spesso indicato all'opinione pubblica stragi e genocidi che parevano dimenticati. Darfur, Rwanda e Cecenia, per esempio. Perché sono dimenticati? Non sono interessanti? «Non sono interessanti a posteriori. Se lo fossero stati prima, sarebbero stati impediti. Il massacro dei tutsi avrebbe potuto essere evitato con pochi mezzi». In Cecenia è una questione di opportunità politica. Perché abbiamo bisogno del gas russo? «Non credo. I russi hanno bisogno di vendere il gas tanto quanto noi abbiamo bisogno di comprarlo». E allora come si spiega il nostro silenzio? «C'è un peccato peggiore del nazismo. Un peccato interiore. L'indifferenza. E l'Occidente si macchia di questo peccato. Tra l'altro in Rwanda nessuno fa notare che si è trattato del primo genocidio fra cristiani, fra cattolici. Tutsi e hutu erano entrambi popolazioni cattoliche, riconosciute come tali anche dal Papa Giovanni Paolo II. Il Rwanda era un "Paese di Cristo Re", come già la Spagna, anche quella terra di massacri. Il genocidio non dipende dunque, come pensano molti, dalle conseguenza della società industriale che tratta gli uomini come materie prime. La gente si può uccidere anche con il machete. Anche il Rwanda è stato vittima degli effetti del panglossismo. Era un paese considerato modello dalle organizzazioni internazionali perché era serio nella produzione del caffè, e anche per la Chiesa, e per la Francia, perché si parlava francese. Nessuno ha voluto vedere che c'erano delle tensioni fin dal 1992». Sarkozy secondo lei è un panglossista? «Adesso sì. All'inizio no, diceva che bisognava fare attenzione a quello che era successo in Cecenia, duecentomila morti. Adesso invece vende armi a Medvedev e a Putin e spiega che non è grave, che bisogna girare la pagina della guerra fredda. Certo, la guerra fredda può anche essere finita, ma ci sono altre guerre, meno planetarie, ma altrettanto pericolose. Attenzione a quelli che dicono sempre "È finita, bisogna girare pagina". Per questo Socrate è morto. Lui era per l'amnistia, ma non per l'amnesia, cioè l'oblio, e il panglossismo è amnesia». Dio è morto? E il diavolo come se la passa? «Dio è morto in Europa, ma non lo dico io, lo dice Giovanni Paolo II, quando afferma che gli europei vivono come se Dio fosse morto. Il diavolo non è morto, ma gli uomini lo possono battere se si uniscono a partire dall'idea di quello che è sbagliato: il falso, l'inumanità, la tortura, la malattia». (Paolo Bianchi)
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