Immaginate l'ovattata hall di un vecchio, storico, albergo di Milano. Lì incontriamo André Glucksmann, filosofo francese e sentinella sempre sveglia sul fronte dei diritti umani. Presenta l'ultimo suo libro, Le due strade della filosofia (Spirali), che lui stesso definisce come «testamento spirituale». Vorremmo quindi uscirne con un'idea aggiornata di cosa e come debba essere un filosofo. Gli chiediamo a bruciapelo, a lui pensatore militante e spirito guerriero dell'engagement, che ne pensi dell'idea di Bobbio che il filosofo sia «mite». A sorpresa - perché le carrambate non capitano solo nelle arene pop della tivù ma anche nei luoghi sobri degli intellettuali - ci indica una signora un divano più in là e ci dice che bisognerebbe esser come lei «estremamente dura con i duri e mite e dolce coi deboli e i modesti». La signora, minuta ed elegante con le perle ai lobi, è Ingrid Betancourt, sei anni prigioniera delle Farc nella giungla colombiana. I due si salutano, il caso li ha portati a Milano negli stessi giorni, nello stesso hotel. L'intervista può tornare alla filosofia. Ma questa mitezza «armata» di durezza e ribellione come la giustifica, Glucksmann? Con l'eccesso di male nel mondo attuale? Col ritorno del «diavolo», a cui a sorpresa dedica l'ultimo capitolo, consegnando il lettore a questa presenza che - e sono le ultime parole del libro - «non ha mai smesso di starci alle calcagna»? «Il male esiste e non lo si vuole vedere, così il diavolo - risponde -. Ma è più complicato che nel Medio Evo. Sta nella disumanità banale, nelle torture, nei massacri, nei genocidi». E in un quadro simile vien da chiedersi in che cosa si possa aver speranza. Bobbio rispose che questa è virtù teologale, dunque non per i filosofi. Glucksmann preferisce quelle cardinali. «Quelle che Aristotele e la filosofia greca hanno pensato per primi; non sfociano nel male ma ci mettono in guardia. Le virtù teologali, invece, si possono convertire in diaboliche. Il peggior crimine può essere commesso in nome della fede, e certi comunisti erano caritatevolissimi...». Il libro presentato come «testamento» fa parlare in prima persona Socrate e Heidegger, sono loro che hanno tracciato le due «strade» del titolo, son loro che sembrano giganteggiare anche nel presente. Che la filosofia europea sia morta? «No, anzi, oggi come allora quel che agita il pensiero europeo è il potere, e il pensiero va in due direzioni: l'ossessione del "potere", e il "potere dei senza potere", che affascina i dissidenti di oggi come affascinava i seguaci di Socrate». Glucksmann parteggia chiaramente per Socrate, ma ammette che Heidegger fu «vero filosofo» e insieme «vero nazi». E come spiega le «liaisons dangereuses» tra filosofia e totalitarismi? «Il filosofo non è per natura buono e la filosofia è kampfplatz, come diceva Kant, campo di battaglia». Dove Socrate combatteva coi sofisti e oggi lo farebbe coi «guru, che sono l'ombra, il double dei filosofi». Socrate fu anche educatore, invitava a riflettere sul bene. Oggi basterebbe? Non si dovrebbe educare anche alla volontà? «Non vedo opposizione; ci vuole volontà per opporsi alla menzogna». L'intervista si chiude davanti a un quadro di Giuseppe Verdi (che in questo albergo morì), e fa un po' effetto accanto al teorico dello sradicamento... «Verdi ha fatto magnifiche opere - Trovatore, Traviata - in cui i protagonisti sono degli sradicati; se penso che la nostra élite si comporta in modo criminale con i Rom, ho voglia di obbligarli ad ascoltare Verdi». (Sara Ricotta Voza)
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