Georgij Prjachin la prende alla lontana per parlare della Russia contemporanea, partendo da un'altra epoca e da un'altra nazione. "La rivolta dei paggi o l'arte di prosternarsi davanti al sovrano" (edizioni Spirali) è un romanzo che collega i destini di una schiava egiziana di Alessandro Magno e di un giornalista russo in viaggio nel Caucaso. Voci diverse (quanto emancipata lei, tanto disilluso lui) che si alternano in una narrazione che copre oltre duemila anni di storia internazionale. Il racconto prende il via dalla famosa congiura dei paggi reali del 327 a.C., ma giunge fino oltre la crisi del teatro Dubrovka di Mosca, quando nel 2002 un commando di guerriglieri ceceni prese in ostaggio oltre 800 civili. L'antico impero da una parte, colto qualche anno prima della morte di Alessandro Magno e dello smembramento che seguì, e dall'altra parte il nuovo impero russo e le sue debolezze. Sono mondi apparentemente molti distanti, ma che presentano alcune fondamentali analogie. Ad attraversare l'intero libro sono infatti alcuni interrogativi che fanno parte della natura stessa dell'uomo e della sua istanza di libertà e brama: qual è l'ideologia che lega il potere all'adulazione? Dove iniziano e dove finiscono le colpe di chi si ribella? La risposta di Prjachin a questi quesiti pongono l'attenzione sull'essere umano, chi è condannato, chi governa, chi usa la violenza, chi la rifiuta. la schiava egizia si avvicina al maestro, accusato forse ingiustamente dall'imperatore di aver ordito la congiura contro di lui e rinchiuso in una gabbia di ferro come un animale, ne recupera l'umanità e la dignità davanti al potere. A questa fa il controcanto la voce di Sergej, il giornalista russo che mira a diventare deputato - lo si segue attraverso il Caucaso, in viaggio con una mazzetta per acquistare dei voti - che pur senza mai fare esplicito riferimento all'autorità, sembra rinvenire nel "popolo" lo specchio delle ingiustizie della Russia contemporanea: la disparità economica, i contrasti etnici, la distanza tra periferie e centro del nuovo impero. Un viaggio, quello di Sergej, che lo rende straniero nel proprio Stato e lo porta a confrontarsi con una differente lingua, cultura e religione. Ma c'è qualcos'altro che collega le vite della schiava e del giornalista, qualcosa di eterno e divino che si rivela man mano nella storia. Il dialogo tra i due mondi è reso attraverso la prosa di Prjachin, capace di usare toni ironici e autoironici ma anche di rendere la drammaticità più intensa nei momenti della morte del maestro e della tortura dei paggi.
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