Di fronte ai dati, pur contrastati, ma sostanzialmente positivi che emergono dal quadro economico delle grandi economie occidentali, possono facilmente trovare spazio una tentazione e un'illusione. La tentazione di considerare la crisi come un semplice incidente di percorso, frutto dell'avidità di pochi e ben individuati attori. E l'illusione che il flusso della crescita economica possa riprendere automaticamente sotto la naturale spinta delle forze del mercato. Non bisogna tuttavia dimenticare che sono già cambiati alcuni parametri di fondo del sistema economico e finanziario: per esempio il debito facile (sia quello pubblico, sia quello privato) è sempre più chiaramente tra i rischi da evitare e in primo piano emerge l'esigenza che a regole condivise si affianchino comportamenti responsabili ed equilibrati. Anche perché per molti aspetti la crisi degli ultimi tre anni può essere considerata a livello economico-finanziario quello che la caduta del muro di Berlino è stata a livello politico e strategico: il crollo delle ideologie, la fine della divisione in blocchi, la stessa rappresentazione manichea della realtà. Come se improvvisamente il mondo avesse riscoperto l'esigenza non tanto di manifestare la fondatezza di una teoria rispetto a un'altra, quanto di rispondere con realismo e pragmatismo alle esigenze di contrastare le difficoltà. È stato così che molti stati, pur in forme diverse, sono intervenuti per salvare le banche, ma lo hanno fatto non tanto per dare ragione più John M. Keynes che ad Adam Smith, quanto perché quella era la scelta più razionale per evitare il peggio. Una scelta peraltro in alcuni casi si è dimostrata doppiamente positiva: è il caso della Svizzera il cui Governo è prima entrato nel capitale Ubs, aiutando la banca in difficoltà, e pochi mesi dopo ne è uscito con una ricca plusvalenza. Molti problemi sono ancora aperti e il recupero della stabilità economica richiederà ancora tempo e scelte coerenti, ma resta il fatto che, considerando lo stato come un elemento del sistema, il capitalismo ha dato un'ennesima dimostrazione di capacità di riconoscere gli errori e di superarli. È questo il bilancio che trae anche Roberto Ruozi, economista e già rettore della Bocconi, in un libro che ha voluto intitolare Intermezzo, facendo un bilancio puntuale e attento di questi tre anni di crisi bancarie. La storia non è finita con il fallimento di Lehman Brothers proprio perché stato e mercato hanno avuto la capacità di sostenersi a vicenda come elementi indispensabili alla crescita. E allora Ruozi, riprendendo un giudizio dell'economista francese Dominique Reynié, sottolinea come «il capitalismo durerà ancora a lungo perché è ancora in grado di farci sognare». E con i sogni, le emozioni, i sentimenti, in fondo solo con la libertà, ogni persona può trovare un ruolo da protagonista senza essere schiacciata dalla globalità. Ancora di più se il mercato saprà rispondere alle esigenze dei tempi, integrandosi con una solida economia sociale. (Gianfranco Fabi)
|