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L'attentato perfetto: il giorno in cui il Male ha cambiato volto


  
 
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Il nemico dell'Occidente: dopo l'Urss venne Al Qaeda

di MAREK HALTER

11 settembre 2011, Parigi. Avvertito da un amico per telefono, mi precipito davanti al televisore, come centinaia di milioni di individui nel mondo. Affascinato, seguo in tempo reale un Boeing 767, il volo AA11, infilarsi in una delle due torri del World Trade Center. Poi, diciassette minuti dopo, ecco apparire un altro Boeing, il volo UA175, che urta in pieno la seconda torre dello stesso World Trade Center, l'orgoglio di New York. Cosa ho provato davanti a quelle immagini oggi celebri?
Innanzitutto, sono rimasto affascinato, come davanti ai migliori film catastrofici di Hollywood. Non assorbiamo forse l'immagine prima del suo contenuto? Sì, riconosco che ero soggiogato dalla perfezione con cui l'attentato era stato organizzato ed eseguito. Solo dopo aver realizzato che le silhouette che si gettavano nel vuoto dal 100° piano per sfuggire alle fiamme non erano manichini ma esseri umani, come voi e me, condannati a morte da un'ideologia folle che invocava Allah, sono stato preso dall'orrore. Orrore che provo ancora oggi. Nulla d'originale, mi sembra. Chi, dieci anni fa, ha assistito all'attacco contro i due più grandi grattacieli del mondo ha certamente reagito come me. E dopo? Dopo mi sono chiesto cosa avrei fatto se fossi stato una delle 17.400 persone presenti nelle due torri quel mattino. Alla fine, sono riemersi i ricordi: gli incontri con il mio editore americano al 48° piano della Torre Sud, una cena con gli amici al ristorante Windows of the world al 107° piano della Torre Nord, da cui si gode un panorama incomparabile di New York, le discussioni con un mio cugino designer nel suo atelier di TriBeCa, all'ombra delle Torri gemelle. È solo più tardi che sono stato assalito dalle domande: perché? Come? Chi? Quali conseguenze sull'evoluzione del mondo? Nel settembre del 1981, venti anni esatti prima dell'attentato al World Trade Center, mi trovavo in Afghanistan. Renzo Rossellini, Bernard-Henri Lévy ed io eravamo andati a portare emittenti radio al comandante Massud, uno dei più celebri resistenti all'occupazione sovietica. Un gruppo di mujahiddin, che doveva scortarci fino alla vallata del Panshir dove si trovava Massud, ci aspettava a Peshawar, alla frontiera pachistano-afghana. L'albergo Continental, in cui eravamo scesi, era pieno di americani. Membri dei servizi segreti? Curiosamente, i loro interlocutori afghani erano per lo più rappresentanti dei gruppi religiosi più fanatici. Ben presto, fummo messi all'indice. Eravamo gli unici ad essere attorniati da uomini armati in maggioranza laici. All'epoca, nel 1981, il mondo era diviso in due blocchi: occidentale democratico e comunista totalitario. Tutti coloro che si trovavano a Peshawar partecipavano in un modo o in un altro alla guerra del Bene contro il Male. E, per gli americani, ogni mezzo era buono per la difesa dell'Occidente. Il comunismo sovietico non rappresentava forse un sistema aggressivo che interveniva militarmente ovunque, là dove il proprio impero appariva minacciato, e che aveva fatto costruire a Berlino un muro per proteggersi da qualsiasi tentazione democratica? I talebani combattevano i comunisti. Erano quindi, agli occhi della Cia, alleati perfetti nel braccio di ferro che l'America aveva ingaggiato con il diavolo. Questa battaglia, l'America l'ha vinta. I sovietici lasciarono l'Afghanistan nel 1989 e i talebani presero il loro posto. Il muro di Berlino crollò qualche mese dopo. In Urss, nacque la perestroika. Il destino volle che mi trovassi lì. Con il violoncellista Mstislav Rostropovich, andammo a cercare nel suo esilio Andrei Sacharov, premio Nobel per la pace, e lo riportammo a Mosca, dove Mikhail Gorbaciov aveva appena sciolto il Partito comunista. L'Occidente perdeva il suo migliore nemico. Dal momento che il sistema liberale era stato accettato su scala planetaria e la democrazia era divenuta un riferimento universale, alcuni credettero persino alla fine della Storia. Avevano dimenticato che il mondo era e sarà sempre un'arena dove si affrontano il Bene e il Male, il Bene cambiando ogni volta campo e il Male cambiando volto. Per decenni, il Male ci è stato presentato sotto forma di parate militari sulla piazza Rossa e di carri armati incolonnati sulla piazza Tien An Men. Non ci siamo accorti che esperti in Male e in Bene avevano già trovato un nuovo volto al diavolo: l'Islam. Avremmo dunque dovuto poter prevedere la sua offensiva contro l'Occidente. Ma il nostro razzismo naturale ce l'ha impedito. Come potevano, i musulmani, sui quali abbiamo regnato per secoli, esser capaci di realizzare un giorno uno degli attentati più perfetti della Storia? Per noi, che eravamo a Peshawar vent'anni prima, questo appariva evidente. L'assassinio del comandante Massud, il 9 settembre 2001, due giorni prima dell'attacco contro le Torri gemelle di New York, era - cosa che gli americani non avevano capito - una dichiarazione di guerra. Una delle rare voci democratiche del mondo musulmano, la stessa che si fa risentire di questi tempi con la «primavera araba», fu soffocata a vantaggio dei talebani e della jihad, la guerra santa. Come un'eco al grido dei crociati del Medioevo, Dio lo vuole, qualche secolo più tardi risuona Allah Aqbar, Dio è grande. Che fortuna per George Bush, che già si vedeva nelle vesti di San Giorgio che abbatte il dragone! «La nostra guerra contro il terrorismo comincia con Al Qaeda. Ma non si fermerà qui», proferì dopo l'attentato contro il World Trade Center, dichiarando guerra all'Afghanistan. Pensavo a tutto questo, l'11 settembre 2001, o anche un po' più tardi? Non lo so. Oggi, i ricordi, le analisi, le letture si confondono. Ricordo tuttavia d'essere andato a New York un mese dopo l'attentato. Eravamo centinaia a contemplare, increduli, il buco di Ground Zero, tutto quel che restava di quel gioiello architettonico e delle migliaia di persone che vi lavoravano. Gli operai, sgombrando il terreno, avevano lasciato qualche trave a forma di croce. Sulla palizzata che circondava il vuoto, qualcuno appese una bandiera americana. Un fotografo riprendeva i passanti e l'indomani espose le foto sulla palizzata. Fu così che ritrovai il mio volto, l'immagine di un uomo sorpreso, sbalordito, soprattutto in collera. Oggi, dieci anni più tardi, il recinto e le foto sono scomparsi, ma il buco di Ground Zero non è ancora del tutto riempito. Il cantiere del One World Trade Center, edificio di 1.776 piedi di altezza, è avviato. (Traduzione di Daniela Maggioni).

Chi è - Marek Halter, scrittore francese nato a Varsavia nel 1936 da famiglia ebrea polacca (madre poetessa e padre tipografo). Ha pubblicato una ventina tra romanzi e saggi. Tra i libri: «Abraham», «La regina di Saba» e «La mia ira». Nel 1967 fondò il comitato internazionale per la Pace negoziata in Medio Oriente e fu tra i precursori del dialogo tra leader israeliani e palestinesi. Nel 1981 ha promosso il comitato Radio-Kabul libera.

 
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