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 Nemtsov: vi spiego chi è Putin


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Nemtsov: vi spiego chi è Putin


  
 
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"Queste elezioni? La solita truffa"

"Sempre più persone sono convinte che quello sia un partito di ladri e farabutti. La gente sa che Russia Unita è l'unione tra l'apparato burocratico malavitoso e gli uomini d'affari che vi si sono avvicinati. Ormai la maggior parte dei russi non crede più alle loro promesse". Parola di Boris Nemtsov, vice premier nel governo Eltsin e ora leader di Parnas, il partito liberale di opposizione escluso dalle elezioni parlamentari russe con il pretesto di irregolarità formali al momento della registrazione.

Più volte arrestato durante manifestazioni anti-governative, Nemtsov è uno dei politici più critici nei confronti di Russia Unita e del suo leader, Vladimir Putin. Forse anche perché fu proprio Putin a sottrargli a sorpresa il ruolo di successore di Eltsin. Fatto sta che nelle elezioni della Duma, la Camera bassa del Parlamento, l'ex agente del Kgb rischia di vincere senza stravincere. Cioè senza ottenere, come invece è avvenuto in passato, i due terzi dei seggi, proporzione necessaria per apportare modifiche alla Costituzione. Sarebbe il segno di un declino di popolarità emerso in maniera chiara pochi giorni fa, quando durante una competizione di arti marziali il pubblico ha accolto Putin con una bordata di fischi che hanno fatto il giro della rete.

- Signor Nemtsov, lei ha detto più volte ultimamente che la maggior parte dei russi non crede più alle promesse di Putin. A quali promesse si riferisce?
«Ad esempio a quella di un centro turistico nel Caucaso Settentrionale per il 1017: il centro turistico è diventato la tana dei terroristi. Oppure quella di far entrare la Russia nella triade dei principali Paesi del mondo, mentre stiamo diventando una nazione priva di diritti, sempre più corrotta e dipendente dalle materie prime».

- Lei ha definito queste elezioni una truffa organizzata, una falsificazione. Su che basi lo afferma?
«Prendiamo ad esempio le elezioni amministrative che si sono svolte ad aprile. In quel caso, come al solito, ci sono state falsificazioni, l'opposizione non è stata ammessa alle elezioni, alcuni candidati perfettamente in regola non sono stati ammessi. Proprio come questa volta. Non c'è niente di nuovo: la censura continua e i candidati indipendenti non hanno accesso alle trasmissioni televisive e radiofoniche».

- Censura, corruzione, elezioni pilotate: sono alcuni dei motivi che hanno portato il mondo arabo a rivoltarsi contro i vecchi regimi. Eppure la Russia sembra immune da tutto ciò.
«Le rivolte del mondo arabo sono legate ad una serie di fattori. Quello principale è che si tratta di pluridecennali dittature di tiranni corrotti, mentre quella di Putin dura "solo" da 11 anni. Una seconda differenza è che la situazione demografica nel mondo arabo è molto diversa da quella russa. Nei Paesi arabi i giovani costituiscono la maggioranza della popolazione, mentre in Russia sono gli anziani la maggioranza. Una terza differenza è che la Russia è il maggior produttore di petrolio. Dato che il petrolio ha vissuto una congiuntura favorevole, il Governo, nonostante la corruzione che è una volta e mezzo quella egiziana, ha avuto la possibilità di colmare le lacune del bilancio e di abbassare il livello delle proteste con elemosine e riaggiustamenti di stipendi e di pensioni».

- Quindi secondo lei Putin e Medvedev continueranno a governare la Russia anche nei prossimi anni?
«Non credo. Il calo della fiducia in Putin e Medvedev è diventato un trend evidente: è diminuita del 10% in dieci anni. La tendenza a cui assistiamo è la stessa del mondo arabo, anche se da noi i tempi saranno più lunghi. Credo che il Governo si aggrapperà alle sue poltrone a qualsiasi costo e bisogna prepararsi a una maratona».


Tutti ricchi (gli amici) con il sistema Putin

Il dossier Putin. La corruzione, prodotto da Boris Nemtsov e altri tre membri dell'opposizione al premier russo, è un plico di una quarantina di pagine che si propone di squarciare il velo sul lato più oscuro della Russia. Dentro ci sono i nomi e le storie di amici e parenti di Putin, trasformatisi, in 10 anni, in "miliardari a spese dello Stato".
Si parte da un dato: gli affari legati alla corruzione in Russia valgono circa 300 miliardi di dollari, circa un quarto dell'economia nazionale. Per capire come sia possibile raggiungere una proporzione del genere, bisogna scandagliare le storie personali di chi, in pochi anni, ha scalato magicamente le classifiche di Forbes.
Il dossier si concentra in particolare sulla Ozero, una cooperativa creata nel 1996 da proprietari di dacie sulle rive del lago Komsomolsky. Una delle tante, non fosse per il nome del presidente: Vladimir Putin. Il dossier di Nemtsov e compagni racconta come, in 10 anni, tutti i membri della cooperativa siano diventati miliardari. Merito delle partecipazioni azionarie nella banca Rossiya, che a metà anni 2000 ha ricevuto dal gigante del gas nazionale Gazprom, a prezzi stracciati, alcune società poi risultate molto proficue, come ad esempio una delle maggiori compagnie assicurative russe, la Sogaz, e il fondo pensioni di Gazprom, Gazfond.
Ma non c'è solo il gas. Nelle pagine del report si può leggere, ad esempio, la storia di Gennady Timchenko, un amico di gioventù di Putin, legato a lui dalla passione per il judo. Timchenko è diventato uno degli uomini più ricchi del Paese, con una fortuna accumulata di circa 10 miliardi di dollari, stando alle stime del magazine finanziario russo Finans.
Come ha fatto? Tra le varie cose, Nemtsov e Kasyanov raccontano che la sua società (la Gunvor) esporta almeno un terzo della produzione di petrolio russo comprandolo a prezzi di favore dalle compagnie di Stato. Nel dossier si parla anche della ricchezza personale di Putin: l'ultimo yacht comprato (41 milioni di dollari), gli orologi, le auto di lusso e le ville. Un intero capitolo è dedicato al nuovo palazzo del Presidente: una reggia da un miliardo di dollari, costruita sulle rive del Mar Nero, e di cui si è scoperto solo qualche tempo fa grazie a Ruleaks, la risposta russa a Wikileaks.


La polveriera del Caucaso

Le proteste che stanno ridisegnando la mappa del potere nel mondo arabo finora non hanno investito il Caucaso, la regione della Federazione Russa a maggioranza musulmana dove, dalla disgregazione dell'Urss, Mosca ha avuto parecchi problemi.
Le cronache occidentali hanno raccontato soprattutto della Cecenia e delle azioni terroristiche di Shamil Basayev, protagonista del sequestro del teatro Dubrovka nel 2002 e della strage di Beslan nel 2004, quando morirono 186 bambini. Ma secondo Boris Nemtsov, che a fianco dell'allora presidente Boris Eltsin visse in presa diretta la prima guerra cecena, a spaventare maggiormente il Cremlino ora sono altre repubbliche caucasiche.
«Diciamo, innanzitutto, che il Caucaso de facto non è parte della Russia, visto che lì le leggi russe non vengono applicate e la Costituzione è costantemente violata. In generale penso che tutte le repubbliche del Caucaso siano territori potenzialmente esplosivi, ognuna di queste può portare a uno strappo violento. In questo momento il terrorismo meno controllabile è però in Daghestan. Al secondo posto, in ordine di pericolosità, metto l'Inguscezia, ma si stanno incendiando anche la Repubblica di Kabardino-Balcaria e quella di Karacaj-Circassia. Insomma, questo fuoco del terrorismo ormai si è esteso in tutto il Caucaso: tutto è ugualmente pericoloso, tutto ugualmente imprevedibile e incontrollato. E le autorità non sono per nulla capaci di vincere il terrorismo».
L'esempio da non seguire, secondo Nemtsov, è proprio quello della Cecenia: «Lì già ora vigono le leggi della shari'a: se una donna si mostra senza il velo è soggetta a persecuzione. Quindi il caucaso lo abbiamo già di fatto perso. Noi lo sovvenzioniamo, diamo loro tra i 6 e i 7 miliardi di dollari all'anno, ma nonostante queste, una volta ricevuti i soldi, i dirigenti della zona fanno quello che vogliono. Quindi in effetti lì non c'è già più il governo russo. Il ritiro delle truppe federali da quell'area e l'appoggio all'entourage di Razman Kadyrov hanno hanno dato luogo a una situazione fuori controllo».
Nonostante questo, secondo Nemtsov, per il Caucaso non è ancora il tempo della ribellione popolare nei confronti di Mosca. Il motivo? La paura. «Nel Caucaso», spiega il politico russo, «si sono stabilite le dittature più feroci e solide. Putin al confronto di Kadyrov è un liberale. E la popolazione è spaventata. Molti ricordano ancora le repressioni contro l'opposizione, l'omicidio di Natalia Estemirova, il rapimento e l'uccisione di Magomed Evloev in Inguscezia, le repressioni contro l'opposizione in Daghestan. Le persone vivono in una condizione di costante paura e, con ogni probabilità, non è ancora arrivato il momento per azioni pubbliche. Ma quel tempo arriverà». (Stefano Vergine)

 
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