Un cagnolino passeggia per la città, osservando il mondo degli umani dal basso, ma in realtà è come se li guardasse dall'alto verso il basso, come fanno appunto certe persone cosiddette "altezzose". Oskar Panizza (1853-1921) scrisse "Dal diario di un cane", una critica "feroce" alla società tedesca del suo tempo. Un simpatico bassotto che trotterella per la città, suddividendo gli uomini e le donne in "mostragambe" e "nascondigambe", criterio legato più che altro alle movenze esteriori e divertitamente coreografiche che seppe ben realizzare cinematograficamente agli inizi del Novecento il grande Charlie Chaplin. Lo scrittore racconta le vicende calandosi nei panni del cane che, curiosando nella vita cittadina, dovrebbe far divertire ma in realtà intrattiene il lettore senza poesia né amore, come invece ben seppero fare, per esempio, Virginia Woolf con "Flush, diario di un cane" e Thomas Mann con "Cane e padrone". Il risentimento è il filo conduttore del lungo racconto di Panizza che porta il lettore a conoscenza, in realtà, del suo sentirsi rifiutato dalla società come filosofo e intellettuale del suo tempo, dimenticandosi però di far emergere le qualità positive e i valori più profondi del genere umano. Come preso "al guinzaglio", il lettore è trascinato negli abissi dell'animo umano. Sconvolgente per quel tempo così lontano dalle ricerche e studi di Freud, Jung e Lacan. Forse un precursore. Probabilmente accecato "dalla rabbia", Oskar Panizza "vedeva le pagliuzze negli occhi degli altri e non la trave". Scrisse infatti: "All'inizio nutrii grossi dubbi sull'opportunità di pubblicare le mie folli fantasie. Quando però vidi che intorno a me venivano scritte follie molto più grandi e peggiori da persone che per la loro capacità e posizione esercitavano un influsso di gran lunga più deleterio, quando vidi che la natura stessa nei suoi grandi fenomeni elementari metteva in mostra gli esempi più grotteschi e perversi, mi dissi: allora vai sicuro! Nessun riguardo più per questo mondo né per questa umanità". Nessuna fiducia nel genere umano, né possibilità di riscatto, né amore verso il prossimo, né carità cristiana che, invece, ben sapeva esprimere il grande scrittore russo Lev Tolstoj attraverso i suoi personaggi. Una condanna definitiva personale è appunto quella di Oskar Panizza. Soltanto a partire dagli anni novanta dell'Ottocento, Oskar Panizza decise di dare alle stampe il racconto, composto ormai da diversi anni. La sua satira attirò le ire delle autorità, della polizia, della Chiesa e della stampa reazionaria bavarese, accompagnando lo scrittore alla prigionia, all'interdizione e all'internamento. La durezza e spigolosità dei suoi scritti satirici furono quasi certamente gli elementi che portarono all'insuccesso editoriale e di pubblico dell'opera. La casa editrice Spirali ha pubblicato la prima edizione italiana nel giugno 2011, con un esaustivo saggio introduttivo del professore Giovanni Chiarini. (Masha Sirago)
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