Può un politico, economista, banchiere risultare un grande scrittore? Jacques Attali con il suo romanzo Il primo giorno dopo me prova che anche la morte può divenire questione di alta letteratura. Da Ferrara, città in cui lavora come psicanalista e promotrice culturale, Mariella Sandri ha inviato al Paese questi appunti di lettura.
Questione curiosa quella che si evidenzia si evidenzia fin dal titolo nell'ultimo romanzo di Jacques Attali Il primo giorno dopo me, edito da Spirali/Vel, recentemente uscito in libreria. Il primo giorno dopo di me, cioè il primo giorno dalla propria morte è in questo romanzo il giorno che decide dell'eternità. Attali lo afferma attraverso le parole del protagonista Julien Clavier che con Sara, la giovane donna che vive con lui da quasi un anno, svolge il difficilissimo e inquietante tema della morte. Egli vive questo primo giorno nel sogno, sogno quasi premonitore che gli consente di riflettere non solo su quanto gli sta accadendo in seguito al decesso, ma anche sulla propria vita, sulle cose e sui valori che hanno inciso nella sua esistenza di uomo e di diplomatico. La relazione col padre, con Lei, con Sara, la biografia incompiuta del pittore Nicolas de Staël, sono questioni sospese che nemmeno la morte può annullare e attorno a cui il protagonista non cessa di interrogarsi: da esse dipendono le condizioni della sua eternità. La morte esige di essere preparata, solo allora la vita può dirsi riuscita. Predisporre le cose affinché ci sia "chi possa prendersi cura della nostra morte" sono le tesi di Attali. Ma il suo non è un discorso tanatofilo; la morte non segna la fine del temo, la fine dell'esistenza; nella morte egli trova l'immortalità: nulla finisce infatti per chi "è stato trattato bene dai vivi", "solo per chi è stato maltrattato o semplicemente trascurato, il suo regno sarà il nulla". L'uomo però non è predestinato al nulla o all'eternità, non è esente da responsabilità in questo suo destino che già si intende fin dal primo giorno del suo trapasso; solo "se ci sarà qualcuno che ti chiuda gli occhi, che posi due grandi candelieri di cristallo ai tuoi piedi e accenda due candele nere; se ci sarà qualcuno a riunire gli amici, a organizzare una veglia di preghiera, e a circondarti dei ricordi più cari", raggiungerà l'eternità. Con la morte nulla finisce quindi, ma solo per chi si è trovato a fare cose di qualità, a donare felicità e speranza, per chi non può definirsi un "ex". "Il destino di un ministro – scrive Attali – è di essere un ex ministro, il destino di uno scrittore è di essere uno scrittore". Attali sembra ormai più votato alla scrittura che alla politica e, al di là delle polemiche suscitate dalle sue dimissioni dalla BERD, la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo dell'Europa dell'Est e di qualche incidente di percorso con la CIRUS di De Benedetti, di lui importano le eccellenti testimonianze letterarie, storiche, filosofiche quali Vita e morte della medicina. L'ordine cannibale (1980), presso Feltrinelli; I tre mondi. Per una storia del dopocrisi (1981), Storie del tempo (1983), La figura di Frazer (1985), La vita eterna (1992), Millennium (1993), presso Spirali/Vel. Sembra proprio che Attali voglia sottolineare con la sua stessa vita che l'immortalità si ottiene nella scrittura. Non perché, romanticamente, gli scritti restano anche dopo la morte, ma perché partendo dall'infinito della scrittura e della lettura la vita prosegue nell'eternità, in cui c'è tutto il tempo e di cui la morte non è altro che l'indice della differenza sessuale, di un differente fare e non il segno dell'indifferenza di cui il nulla sembrerebbe farne la rappresentazione. La morte non è segno, tantomeno della degradazione, ma "marca dell'alterità dell'immagine", scrive Armando Verdiglione in Freud. Gerusalemme nella psicanalisi. E, in quanto alterità dell'immagine è l'effetto di una perdita che rende l'immagine irrapresentabile, altra da sé, per cui non si può vedere ma solamente ascoltare. Ascoltare quanto si dice in questo varco, quanto i scrive in questo varco dove l'immagine è eccedente, e dove l'eco ripristina una comunicazione incessante. In un certo qual modo, Attali svolge in modo originario la tematica elaborata dal Foscolo nei Sepolcri, sostenendo che la vita non finisce, che le cose non finiscono, che il nome non muore per chi ha fatto cose importanti, di qualità, per chi ha amici a cui ha donato, e nella parola dei quali esistiamo e proseguiamo a vivere. È a queste condizioni che il protagonista del romanzo va incontro alla morte che, peraltro, risulta ancor più inquietante per il colpo di scena inatteso e inimmaginabile che conclude la vicenda della sua vita, mai stata terrena e che prosegue nella differenza sessuale propria dell'eternità.
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