Avevo appuntamento con Armando Verdiglione all'Hotel Europa di San Pietroburgo alle ore 11.00. Dovevamo recarci con ClaireLise Grandpierre, organizzatrice del congresso "Il cielo d'Europa", e un inviato del consolato russo a Roma, allo Smolnij, il municipio di San Pietroburgo, per un incontro con il sindaco alle ore 11.30. Il palazzo di Tauride, dove doveva tenersi il congresso, risultava occupato: ancora una volta pretesti burocratici ostacolavano l'avvenimento, ancora una volta vi era chi tentava un rinvio. Inammissibile! Alle 11.00 Verdiglione era già partito dall'albergo, dovetti rincorrerlo, un po' irritato, perché non capivo l'urgenza. Arrivato allo Smolnij li vidi all'entrata, erano in anticipo, ma non stavano attendendo. E in un gruppetto, davanti al giardino, in un maggio che a San Pietroburgo è ancora senza gemme, non c'era tensione ma festa. “Italiano?!? Sono felicissimo che lei sia italiano. Io sono stato in Italia già nel '56”, dice a Verdiglione un signore elegantissimo, dal viso allegro ma importante, quasi un folletto. “È Michail Kostantinovič Anikushin, scultore importantissimo – mi spiega il traduttore – il diplomatico lo ha riconosciuto, è l'autore dei più importanti monumenti della Russia”. Ma come?, penso io, quel signore angelico è l'artefice dei colossi di Lenin, di Pushkin, degli eroici difensori di Leningrado? Impossibile! Gli scultori sono eroi fortissimi, hanno mani grandi come Michelangelo, e vite disperate come Cellini. Titani, tentano l'assalto al cielo, gareggiano con Vulcano in forze e deformità. Poteva quell'uomo mite, sorridente, che parlava graziosamente italiano, che vantava medaglie sul petto come fossero scudetti o stelle sulla maglia di un bimbetto felice allo stadio, aver plasmato crete inerti, impastato gesso polveroso, forgiato bronzo scuro, per dar vita a monumenti imperituri? Solo dèi, in effetti, sembra possano aver forgiato queste statue degli eroici difensori di Leningrado, che trovate splendidamente riportate, tra le altre, nel catalogo a lui dedicato, Il cielo di San Pietroburgo pubblicato in questi giorni da Spirali/Vel. Sono enormi: operai, soldati, miliziani, madri, fonditrici, aviatori e marinai, trentatré sculture che accolgono chi va dall'aeroporto in città. Ma nessuna enfasi, nessuna agiografia: inquadrature di un film, gruppi di attori in scena a teatro. Nulla di greco, di romano, di imperiale nella scultura di Anikushin, piuttosto la lezione del rinascimento. Qualcosa di più di un coro: una saga dove le cose si scrivono, senza fatica, senza sacrificio, in un raro internazionalismo. Difficile arte la scultura, distante come nessun altra dall'animazione, ma anche dalla fissità. Guardate il monumento a Pushkin di fronte al museo statale di San Pietroburgo, proprio di fianco all'Hotel Europa: il braccio sinistro non sta fermo, torce impercettibilmente il corpo, apre la redingote in cui il panneggio sembra mosso dal vento e sospeso. Giuntura, poi articolazione, il corpo. Non c'è più colosso: con la statua il corpo è immortale, si combina con la scena di San Pietroburgo. Arte del cielo senza più spazio, la scultura nella parola. Altra faccia della strategia, la qualifica Verdiglione. Tolta la prima, la scultura, il corpo si immobilizza; tolta la seconda, la clinica, il corpo si cadaverizza. E non c'è più artefice. La scultura di Anikushin sospende l'idolatria, segue la lezione del Corpus cristi di San Paolo ai Corinti. Corpo della transustanziazione, della resurrezione. Corpo che non si personalizza, né si socializza per fondare lo stato, nemmeno nel caso della statua di Lenin. Così distante dalla mummia del Cremlino, il mausoleo su cui fondare la necrofilia di stato, la statua di Lenin, del 1970, a San Pietroburgo quasi mima lo straniante. Fa perno sulla gamba destra, solleva la sinistra quasi ad avvitare il corpo a spirale, con il cappotto ormai divenuto panneggio, veste esposta a un ritmo. Con questa statua Lenin non è più l'automa, il modello del corpo sostantificato. Nessun corpo parlante, nessun corpo confessante e persuaso a dire la verità. Con il corpo in gloria di Anikushin entra in scena l'ingenitus e l'ortodossia è schiantata. Le prove sono le gemme di Anikushin, questi bronzetti che, grazie a Armando Verdiglione, sono qui in Italia, dal 20 febbraio a Mantova, a Palazzo Ducale, e poi in altre città. Con loro Michail Kostantinovič Anikushin, con la sua intelligenza finissima, con la sua gioia incontenibile.
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