Incredibile: Arrabal è qui, a Bologna. Incredibile perché sono sempre straordinari al sua presenza, il suo discorso, la sua venuta. Incredibile, perché quando le cose si fanno difficili, impossibili, quando vengono meno la credenza e la credibilità, ecco apparire Arrabal con un sorriso, puntualissimo. Il ritardo di oggi, giovedì 21 maggio, è invece dovuto al volo Alitalia. In questa felice mattinata trascorsa con lui, in aereo da Roma, mi ha parlato di cose straordinarie: ciascun elemento della sua storia, di quello che leggevamo sui giornali, della vita politica italiana, degli scrittori, dei pittori, dei registi del presente e del passato è entrato nella conversazione con la leggerezza e con l'intelligenza che lo contraddistinguono. Fernando Arrabal è a Bologna, presso il cinema Lumiere, in occasione di un grandissimo avvenimento editoriale, la pubblicazione del primo volume della sua “Opera omnia”, per le edizioni Spirali/Vel. Proprio nell'anno del suo sessantesimo compleanno (è nato a Melilla, in Spagna [Marocco, ndr], nel 1932), che celebra con un'ode nella rivista “Il secondo rinascimento”: per questo compleanno, come scrive, si sono scomodati Cristoforo Colombo e la Spagna intera con l'Expo e con le Olimpiadi. Arrabal è regista di cinema e di teatro, scrittore, poeta. Centinaia di pièces teatrali, rappresentate in tutto il mondo, cinque film di cui solo tre giunti in Italia. Si occupa anche di arte e di pittura: per Spirali/Vel uscirà tra poco, nella collana “L'arca. Pittura e scrittura”, un libro in cui parla di Goya e di Dalì. Sempre in un modo originale e autentico, in cui emerge una profondissima cultura e una eccezionale esperienza artistica, ma in cui le cose giungono a una leggerezza, a un umorismo, a un'ironia che rende impossibile catalogare Arrabal in qualsiasi gruppo. Lui stesso, per esempio, nega la definizione di teatro dell'assurdo: “Ho sentito questo termine la prima volta nel 1962, in un caffé a Parigi. La moglie di Beckett gli portò, tra la posta, un piccolo libro in ungherese. In copertina il nome di sei drammaturghi: Ionesco, Beckett, Pinter, Adamov, Arrabal e Alby. Beckett ha preso il libro, ha visto ‘Teatro dell'assurdo’ e ha commentato: ‘Che assurdità!’. Penso che avesse ragione. Prima di tutto, non abbiamo niente in comune, nessuno di noi. Abbiamo in comune solo la sorpresa della critica, che la critica era sorpresa nel vedere le nostre pièces.” Tiziano Tommesani, della direzione del Teatro Aperto / Teatro Dehon, nella conferenza stampa afferma che Arrabal da un punto di vista teatrale è un autore estremamente difficile da mettere in scena, perché i suoi testi non danno molti appigli per l'aspetto narrativo: forse per questo, dice, in Italia è stato poco rappresentato e molto sottovalutato, anche per l'impossibilità di legarlo all'interno di un discorso ideologico o a un filone di teatro. In effetti un autore così libero da vincoli e da condizionamenti, sia di origine, sia di razza, sia di cultura, sia di scuola, non poteva essere facilmente accolto in un'Italia in cui per un verso le scuole artistiche e le cappelle universitarie e per l'altro verso le correnti ideologiche dominanti per molti anni tendevano a ammettere solo ciò che era garantito da un gruppo o rientrava in alcuni schemi ideologici. Ma oggi, forse con il venir meno delle ideologie, e grazie all'attenzione di Armando Verdiglione, direttore editoriale della casa editrice Spirali/Vel, Arrabal entra in Italia per la via maestra e occupa il posto che gli spetta: quello del più importante regista di fine secondo millennio e d'inizio di terzo millennio. Verdiglione ha incontrato Arrabal una decina di anni fa: da allora Arrabal ha partecipato in modo straordinario ai nostri congressi e sopra tutto all'affaire Verdiglione, quando ha preso delle posizioni clamorose, addirittura proponendo uno scambio di prigionieri, lui al posto di Verdiglione. Ha dato così ancora una volta la prova di non avere schieramenti secondo le ideologie, ma di essere sempre lì dove le cose accadono, dove si esige una testimonianza di civiltà e di diritto. Ricordo un suo libro nel periodo del franchismo, Lettera ai militanti comunisti spagnoli. Sogno e menzogna dell'eurocomunismo nel 1979 ma anche il suo libro contro il dispotismo comunista, Lettera a Fidel Castro nel 1984, che gli attirò molte inimicizie in Italia, in particolare l'esclusione delle sue opere dai Teatri Stabili, vere e proprie casse di risonanza del regime. “Ho scritto una lettera a Franco mentre non bisognava scriverla, bisognava aspettare la sua morte per scriverla. Ho scritto a Castro, non bisognava scrivere a Castro, occorreva aspettare che cadesse il muro per scrivere a Castro. In tutta la mia vita ho provato a imitare un personaggio mitico, probabilmente, che era mio padre. Quest'uomo, di cui non ricordo il viso perché avevo tre anni quando fu condannato a morte, innanzi all'opportunità di salvarsi nella città di Melilla, ha chiesto di tornare in prigione dove, ha detto ‘Sono accanto alla libertà’. Da allora non l'ho più incontrato, ma per tutta la vita ho cercato di essere all'altezza di quest'uomo. Sapevo che oppormi a Franco in quel momento era la cosa peggiore che potessi fare, per Castro lo stesso, quasi un suicidio della mia opera di scrittore. Ma ogni volta ho agito in questo modo, in attesa di essere al livello di questo ‘santo pagano’ che era mio padre. Mio padre mi fece il più grande regalo che può fare un padre al figlio: sparire. In modo che potessi immaginare una persona che probabilmente non era.” Oggi, per la prima volta, possiamo leggere di Arrabal il suo testo, le sue pièces, per esempio Baal Babilonia, dove il mito del padre si svolge senza patetismo ma con una tensione straordinaria. Ringraziamo il Teatro Aperto/Teatro Dehon, che con la direzione artistica di Guido Ferrarini già quattro anni fa mise in scena una pièce di Arrabal, L'aperitivo dei folli, e che martedì 10 maggio ha organizzato un dibattito con lo studioso di storia dello spettacolo Giuseppe Liotta e il critico cinematografico Sandro Toni, proponendo anche due pièces ricche di ironia e di disagio come Le "Cucarachas" di Yalè e Picnic in campagna; ringraziamo la Cineteca comunale di Bologna che ha saputo riproporre due film che sono difficilmente reperibili e ancora oggi straordinari per la loro freschezza e per la loro intelligenza, in assenza di profondità e di metafisica, che sono L'albero di Guernica (1975) e Andrò come un cavallo pazzo (1973). Ringrazio ancora una volta Arrabal di essere stato qui, con noi, con me. Due ore, poi di nuovo in treno per Milano. Domani a Venezia, Padova, a Torino sabato. L'abbiamo strappato a viva forza dal set del suo ultimo film che sta preparando, Adieu Babilon. È quasi terminato e speriamo di vederlo prestissimo. Sarà sicuramente un film straordinario.
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