L'ho citata tante volte in questa rubrica: ho parlato delle riunioni di redazione, in cui intervengono scrittori russi come Vladimir Maksimov, filosofi francesi come Jean Pierre Faye, galleristi croati come Ante Glibota; ho raccontato gli appuntamenti culturali internazionali da lei promossi, come il convegno a Roma sull'Europa o il congresso di San Pietroburgo; ho approfittato dei suoi inviti in Italia al drammaturgo Fernando Arrabal o al filosofo Bernard-Henri Lévy per trarne interviste straordinarie. Oggi, finalmente, della rivista Il secondo rinascimento. Logica e industria della parola, ho tra le mani il secondo numero, dal titolo Contro la gnosi. Contro gli anti Stati Uniti d'Europa. Contro il partito della tangente, in vendita nelle più importanti librerie, con articoli di Maria Grazia Amati, Fernando Arrabal, Alessandro Atti, Carmine Benincasa, Dominique Desanti, Bernard-Henri Lévy, Carlo Marchetti, Ernesto Pascale, Michele Serio, Armando Verdiglione. Strano destino quello delle riviste in Italia. Sono mai esistite qui riviste di cultura che non fossero disciplinari o orientate ideologicamente o religiosamente? Basti pensare, nel primo caso, alle settecento riviste di argomento giuridico disponibili presso gli istituti giuridici, e interessanti solo per i loro frequentatori; o a Civiltà Cattolica e Difesa della Razza, a Mondo Operaio e Rinascita, nell'altra. Ci sono anche le riviste di commento alla cultura, come Illustrazione Italiana, o di recensioni, come Millelibri, lontane però dal costituire un dispositivo di discorso, di scrittura, di apertura di un vero dibattito internazionale e intersettoriale. Qualcosa che instauri un'altra era, non che resti, nel migliore dei casi, un omaggio all'epoca. “Il giornale Il secondo rinascimento sarà leggero. — annunciava Armando Verdiglione, direttore responsabile, nel primo numero — E raccoglierà indizi, prove e tracce del secondo rinascimento nel pianeta, nonché elementi del processo d'integrazione della parola. Senza il peso degli arcaismi e senza la riassunzione della sua aritmetica e degli stereotipi del passatismo, del presentismo, del futurismo. Annunciazione, provocazione, collaborazioni da differenti paesi e molti settori. Lungo quell'indagine intorno alla parola che contraddistingue quanto faccio negli ultimi venticinque anni”. Il secondo rinascimento ha come sottotitoli: cultura, arte, impresa, politica, finanza, comunicazione. Vi aspettate una panoramica sulle discipline, con saggi esperti in ciascun campo? Trovate il racconto di Michele Serio, la recensione di Alessandro Atti, il saggio sul concetto di nazione di Carlo Marchetti, le storie della vita di Arrabal, la testimonianza di Carmine Benincasa. L'impresa risulta qui rischio della parola, la finanza istanza di conclusione della scrittura, la politica l'altro tempo di ciascuna esperienza originaria. In tempi di difficoltà politiche, economiche, finanziarie per l'Europa un riferimento al rinascimento può sembrare fuori luogo. Ma può esserlo solo per chi credesse al rinascimento come era del bene che vinca sul male, della creazione del bello che emerga dall'informe negativo, della conoscenza che trionfi sull'oscura ignoranza. Credesse cioè in una società utopica, armonica, senza tempo, che secondo i principi gnostici (di qui il titolo di questo secondo numero) trionfasse sul decadimento, sul male, sulla corruzione in cui esisterebbero le cose, e offrisse la via della salvezza, della pienezza originale, del ritorno alla vera natura, insomma la liberazione dopo la fuga dalla via della depravazione. Queste mitologie gnostiche sembrano risuonare sempre più nei giornali, nelle dichiarazioni politiche, anche nelle promesse della psicanalisi, quasi il rinascimento dovesse essere una rinascita, un partire dal male perché possa trionfare il bene, perché la scintilla (dei valori) andati perduti possa essere ritrovata. Contro questa gnosi, contro questa paura o rassegnazione proposte dal partito della tangente, che cerca sempre il male da attraversare e da superare, il rinascimento constatato da questa rivista non è l'abito della rigenerazione o della rinascita. “Il secondo rinascimento non è un'epoca, prescinde totalmente dall'epoca, — dice Verdiglione — benché quanto accade oggi, qui, in questo paese e altrove, indichi che un'altra era, ben altro tempo, tempo dell'invenzione, dell'arte e della scienza, è avviato: a condizione anzitutto di non accettare che in principio sia il fatto”. In effetti quindici anni di equipes, dibattiti, congressi internazionali (Roma, Parigi, Caracas, Tokyo, New York, San Pietroburgo) ci hanno indicato che, nonostante il catastrofismo e il possibilismo del moralismo protestante a ovest e ortodosso a est, esistono già — senza bisogno di un ritorno a un paradiso perduto — un'innovazione e un'invenzione, un rischio e una riuscita senza precedenti, in vari ambiti della cultura, della scienza, dell'arte, dell'industria. In particolare tra i giovani e le donne, e soprattutto per quanto concerne l'industria della parola: i giornali liberi, le radio, il video, l'arte laser e virtuale, l'editoria, la telefonia (veramente interessante la testimonianza, in questo numero, di Ernesto Pascale, presidente della SIP) stanno offrendo soltanto le prime prove di quel che sarà l'impresa e l'industria nel terzo millennio, da cui l'arte e la cultura saranno imprescindibili. L'idea di conoscenza, di progresso, di superamento della contraddizione sono rispettivamente umanistica, illuministica, romantica, non rinascimentali; il rinascimento si è contraddistinto piuttosto per l'idea di intersezione tra arte e scienza, cultura e industria, finanza e scrittura: tra molti, basti citare Leonardo e Cellini, Firenze e Urbino. E mai come ora il design, la moda, la grafica, l'artigianato, le nuove tecnologie dimostrano quanto la qualità della vita debba al software dell'intelligenza più che all'hardware della sostanza. Questo giornale ci rilascia un messaggio: l'Europa non ha bisogno di restaurazione o di autogenerazione, di sconfiggere il male e di ricostruire l'unità originaria, secondo le istanze care allo gnosticismo. Anzi, sorge proprio dal venir meno del riferimento all'unità degli opposti bene-male, positivo-negativo, vero-falso; crollano le facili conciliazioni, i facili compromessi, altre accozzaglie, altre mescolanze. Scrive Verdiglione: “I presupposti religiosi, che hanno consentito prima la spartizione dell'Europa sotto l'idea dell'impero e poi la suddivisione in due blocchi, oggi si vanificano, si dissipano, sono sfatati dagli eventi, dalla trasformazione in corso, non esistono, salvo essere nostalgicamente affermati sotto forma di arcaismo. Ritrovare lo scrittore, l'artista, il pittore, il musicista che rischia in quel che fa, in quel che scrive, che enuncia questioni essenziali e che dà un contributo all'invenzione dell'Europa — si tratta d'invenzione poiché non esiste già. Stabilire e verificare una carta intellettuale dell'Europa che si sta costituendo. Non si tratta dell'intellettuale critico e complice del sistema, dell'intellettuale gnostico, ma di ben altro intellettuale. Si tratta di trovare il dispositivo. Dispositivo artificiale. La società è dispositivo artificiale. Nulla di naturale né di nazionale l'Europa. Rivendica la naturalità e la nazionalità soltanto la società naturalistica.”
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