Alle porte di Milano, a Senago, è in corso la mostra “Parigi, l'avanguardia. Arrabal Espace”. Nella villa Borromeo, sede della Fondazione di cultura internazionale Armando Verdiglione e dell'università internazionale del secondo rinascimento, fino al 23 settembre si possono ammirare 1300 opere che Picasso, Mirò, César, Botero, Dalì, Topor e tanti altri artisti dell'avanguardia hanno dedicato a Fernando Arrabal, il grande drammaturgo spagnolo nato a Melilla nel 1932 e autore di film indimenticabili come “Viva la muerte” e “Andrò come un cavallo pazzo”. Nel presentare la mostra alla stampa il professor Armando Verdiglione, l'inventore della cifrematica, la scienza della parola, ha insistito molto sull'importanza del museo privato perché, a suo avviso, questa istituzione, oltre ad avere la chance di affiancarsi e di integrarsi con il museo pubblico, si affianca anche al testo dell'autore. Poi ha aggiunto: «Questo è l'itinerario di Arrabal e questa mostra è la cifra del Novecento e del terzo millennio». Nella lingua diplomatica che lo contraddistingue il professore ha parlato ai giornalisti in una sala della villa piena zeppa fino al soffitto di manifesti, quadri e sculture. Poi ha annunciato che Arrabal girerà il suo settimo film dal titolo “Jorge Luis Borges, una vita di poesia” avvalendosi, tra l'altro, dell'ultima intervista (cinquanta ore di riprese filmate) che il grande scrittore argentino rilasciò nel 1985 durante un suo lungo soggiorno nella villa Borromeo. Alla presentazione della mostra c'era anche Fernando Arrabal che, in esclusiva per la “Voce di Mantova” ha risposto volentieri ad alcune domande.
Arrabal, nel suo progetto di scrittura Lei insiste molto sull'arbitrio, la violenza e il totalitarismo. Tre temi che hanno incessantemente strutturato il testo e il contesto del Novecento. Com'è giunto ad elaborarli? Tutto inizia con la sparizione di mio padre. Io ho vissuto questo evento come un fatto molto drammatico. Il 17 luglio del 1936 mio padre fu condannato a morte da Franco. Il 17 luglio del 1936 è anche la data dell'inizio della guerra civile spagnola. I libri di storia riportano la data del 18 luglio ma la guerra è iniziata la sera del 17 a Melilla. Mio padre era pittore e quando è stato chiamato alle armi stava dipingendo. I suoi amici vennero a prenderlo dicendo di ammirarlo molto come pittore poi, però, lo rinchiusero nella sala della bandiera chiedendogli di rinnegare le sue idee. Mio padre rimase rinchiuso nella sala della bandiera per due ore poi chiamò i suoi amici e disse: «Ho riflettuto. Non rinnegherò mai le mie idee. Io sono per la libertà e per la Repubblica», e gli amici: «Così ti condanneranno a morte». E lui: «Se necessario così sia». Subito è stato condannato a morte. Un anno dopo la condanna è stata commutata in trent'anni di carcere. Dopodiché è scomparso per sempre. I drammi della guerra civile e della guerra mondiale sono stati drammi enormi e al confronto il mio è un dramma piccolissimo. Ma è inconcluso. Infatti mio padre potrebbe riapparire da un momento all'altro.
Lei nel 1967 è imprigionato e condannato a 12 anni di carcere per aver oltraggiato la Spagna e per blasfemia. Cosa ricorda di quell'esperienza? Mio padre è sempre stato il mio modello. Ed è forse per questo che i poeta Vincente Aleixandre ha reso omaggio alla mia forza morale. Nel 1967 i fascisti spagnoli mi arrestarono e mi condannarono a dodici anni di carcere per le mie idee e per i miei scritti ritenuti oltraggiosi e blasfemi. Vincente Aleixandre, Camillo José Cela, Octavio Paz e Samuel Beckett, quattro soldati innocenti della letteratura, vennero appositamente a Madrid per prendere le mie difese. Il destino ha poi voluto che questi quattro piccoli soldati divenissero giganti della letteratura. Interessante in questo contesto fu il gesto che fece Samuel Beckett. Appena sceso all'aeroporto di Madrid la polizia spagnola lo fermò e lo espulse impedendogli di difendermi. Allora Beckett scrisse ai giudici dicendo: «Signori giudici spagnoli, è molto quello che ancora deve soffrire Arrabal per scrivere, non aggiungete nulla di più al suo dolore». Questa fu l'unica volta che Samuel Beckett scrisse un testo non letterario.
Malgrado questi eventi Lei ha scritto bellissime pagine intorno all'amore. È forse questo il modo con cui l'ironia ha fatto irruzione nel suo testo? Io mi sono sempre interessato all'amore, all'immortalità dell'anima, a Dio, al diavolo e al peccato. Io sono innamorato dell'amore. Io penso come i surrealisti, come Sant'Agostino, come i beatnik e penso che quando si ama tutto è permesso. La base del surrealismo e del movimento Panico che con Alexandro Jodorowsky e Roland Topor ho costruito è che nell'amore e nell'arte tutto è possibile.
Anche scritti come la “Lettera a Franco” e la “Lettera a Fidel Castro” parlano d'amore? Io ho scritto più di cento opere di teatro, dodici romanzi e realizzato sei lungometraggi. Lungo questa produzione durata mezzo secolo ci sono state epoche brevi dedicate alla pornografia, all'erotismo, al discorso amoroso, a quello religioso e a quello antireligioso. Queste epoche brevi avvengono durante la tirannia franchista. Infatti la “Lettera a Franco” è stata scritta proprio quando il dittatore era ancora in vita. Franco mi ha risposto mettendo bombe nei cinema dove si proiettavano i miei film e ha bandito la mia opera dalla Spagna. Questo è stato il mio più grande premio letterario e non mi sono sentito per niente offeso. La “Lettera a Fidel Castro” l'ho scritta per gli stessi motivi con cui avevo redatto quella a Franco. Avevo scritto delle lettere d'amore a tutti e due perché volevo che si salvassero.
Un modo per alimentare l'ironia? Di più. Avevo proposto ad entrambi il mio cuore invitandoli a ritirarsi nella mia casa di campagna dove c'erano solo tre stanze da bagno. Ero inoltre disposto a riconoscere ad entrambi lo statuto di rifugiati politici. Le mie non sono lettere aggressive. Sono lettere d'amore. Io parlavo loro con amore perché non sono un politico.
Cos'è l'umorismo per Lei? Nella mia opera c'è una parte d'umorismo e una parte d'amore. In “Viva la muerte” è difficile parlare d'umorismo soprattutto per la gravità del tema trattato dal mio film. L'umorismo esiste solo come senso aristocratico del ridere di se stessi ma non di ridere degli altri.
Perché le donne nelle sue opere sono così intelligenti? “Perché io sono una donna frustrata”. E forse anche perché nella mia vita io sono sempre stato circondato da donne intelligenti come mia moglie Luce, mia sorella, mia madre e mia nonna.
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