Venticinque anni fa, l'8 luglio 1988, moriva Ferruccio Masini (Firenze 1928), voce significativa nella cultura e nella letteratura italiana del secondo Novecento. Intellettuale e scrittore in senso pieno, ampio, profondo. Un filo che unisce la sua vasta e varia produzione letteraria è la curiosità sperimentale. Germanista «sommo» (come lo definì Italo Alighiero Chiusano l'indomani della morte), laureato a Firenze prima in giurisprudenza (1953, Osservazioni sui concetti di colpa, pena e imputabilità nella filosofia giuridica neohegeliana di Julius Binder) poi in filosofia (1958, Il pensiero dell'«eterno ritorno» in Friedrich Nietzsche), Masini ha praticato e sperimentato una quantità di generi letterari: il saggio, la recensione, il dialogo, l'aforisma, il romanzo, la poesia, il teatro, la traduzione, spesso contaminandoli tra loro. Professore di lingua e letteratura tedesca nelle università di Parma, Siena e Firenze, marxista «mai dogmatico» (Sergio Givone), come saggista i suoi studi più significativi sono stati rivolti a Nietzsche (Lo scriba del caos, 1978) e alla letteratura del Novecento (Gottfried Benn e il mito del nichilismo, 1967; Gli schiavi di Efeso, 1981; La via eccentrica. Figure e miti dell'anima tedesca da Kleist a Kafka, 1986). Di Nietzsche ha tradotto, tra gli altri, Aurora, Al di là del bene e del male, La gaia scienza. [...] [...] Il percorso creativo-argomentativo di Masini, che raggiunge il risultato più compiuto negli Aforismi di Marburgo (1983), rinnova lo storico genere esopico dell'apologo, che nel nostro paese ha avuto illustri esempi in Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci, nelle Operette morali di Giacomo Leopardi, nelle Favole di Italo Svevo; e che in tempi più recenti, in modi diversi, è stato ripreso dai Fiori giapponesi di Raffaele La Capria (1979), da Centuria di Giorgio Manganelli (1979), dalle Galline pensierose di Luigi Malerba (1980). In questi dialoghi Masini approfondisce uno dei propri temi preferiti, quello della possibilità: più esattamente, sul modello di Robert Musil, delle possibilità. In questa prospettiva esistenziale e culturale il distacco dalle cose è un passaggio fondamentale. Il distacco è per Masini un punto d'arrivo, un liberatorio «non possesso» che è misura di quella magia dell'elementare che non ci troviamo dietro le spalle ma che sta davanti a noi come una conquista e un'«avventura» vitali. «In realtà», egli scrive in un aforisma di Marburgo, «noi non torniamo, noi andiamo verso l'originario». All'originario si tende e si può arrivare se ci si lascia andare, se ci si «affida». "Affidarsi" è «una parola (e un concetto) divenuti quasi incomprensibili. Eppure sta lì il principio di ogni nascita e di ogni rinascita interiore». [...]
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