"La benzina dell'odio è stata già versata ovunque, e adesso impregna ogni cosa. A questo punto, basta un fiammifero per scatenare un incendio devastante". Lo scrittore e filosofo francese Marek Halter, ebreo sopravvissuto al ghetto di Varsavia più di settant'anni fa, usa questa metafora di fronte alle centinaia di vittime civili di Gaza, e la estende alle violente reazioni all'offensiva israeliana.
"Ora parlano di 'nuovo anti-semitismo': è un'espressione che mi fa sorridere, sia pure con amarezza. Certo, non è più l'antisemitismo originario, quello di estrazione cristiana che fu strumentalizzato da Jean-Marie Le Pen e che il Vaticano, soprattutto grazie a Giovanni Paolo II, ha ampiamente ridimensionato negli ultimi decenni. Ma il risultato è lo stesso: prendersela con gli ebrei, accusarli di ogni male, renderli un capro espiatorio", dice Halter.
Cominciamo dal silenzio di molti intellettuali ebrei sui massacri di Gaza: non ne parlano e non ne scrivono, come suggerisce qualcuno, perché in guerra non puoi stare nel mezzo e sei costretto a schierarti da una parte o dall'altra? "Certo che si può stare nel mezzo. Nel 1967, quando scoppiò la Guerra dei Sei giorni, invitai a casa mia Eugène Ionesco, Vaclav Havel, Jean-Paul Sartre, Pierre Mendès France e tanti altri intellettuali. Volevamo tutti fermare la guerra. Ma come fare? Ionesco propose di imbarcarci su un aereo, di atterrare nel Sinai e di dire ai belligeranti che se non avessero smesso di sparare avrebbero ammazzato tutta la cultura europea. Nessuno di noi ovviamente prese quell'aereo. Ma la volontà di mettersi in mezzo c'era, eccome".
Il premier francese Manuel Valls critica gli eccessi delle manifestazioni contro Israele e il ministro degli Esteri Laurent Fabius dice che gli ebrei francesi hanno paura. Lei ha paura? "Certo che ho paura. E, come me, hanno paura gli ebrei polacchi e gli ebrei ungheresi. Perfino in Germania, Paese che dovrebbe essere stato vaccinato per sempre contro l'antisemitismo, gli ebrei hanno paura. I giovani delle banlieues hanno riesumato gli argomenti usati una volta dai cristiani: la teoria dei complotti, il fatto che l'informazione è tutta nelle mani degli ebrei, i quali sono tutti ricchi, e all'origine di tutte le guerre, perfino quella in Siria, che avrebbero scatenato per far sì che i musulmani si ammazzino tra loro".
Quali rischi vede all'orizzonte? "Il rischio è che si crei un legame tra le periferie degradate con il loro 'nuovo' antisemitismo e il Front National, sempre pronto a rispolverare il 'vecchio' antisemitismo. Se ciò avverrà, gli ebrei francesi saranno davvero in pericolo".
Quello che accade le risveglia antichi ricordi? "Pochi giorni fa un giornalista francese mi ha chiesto: 'Come reagisce a tutto ciò, signor Halter?'. Gli ho risposto che quando in Francia sento urlare 'Morte agli ebrei' mi sento profondamente ferito. Il giornalista ha allora ribattuto: 'Ma non è la prima volta che le accade?'. E io gli ho detto: 'No, ma ancora non mi sono abituato'".
Non crede che assimilare gli ebrei agli israeliani, facendo di tutta l'erba un fascio, sia di per sé già un atto antisemita? "Non credo. C'è semmai un'incomprensione. La maggioranza degli ebrei francesi, che sono circa 700 mila e che sono la più grande comunità ebraica d'Europa, s'identifica con Israele pur non approvando spesso l'azione del suo governo. Vede, gli ebrei sono un popolo di martiri, che per di più continua a sentirsi potenzialmente martire".
Un politico tedesco della Bassa Sassonia è stato costretto a dimettersi dopo aver pubblicato dichiarazioni antisemite su Facebook. È la destra antisemita che rialza la testa dopo il successo delle ultime europee? "È possibile. Ma tutto quello che sta accadendo mi sembra più la conseguenza di una grave crisi economica, che si accompagna ad una altrettanto profonda crisi della speranza, poiché non c'è ideologia che ci permetta oggi di sperare in un mondo migliore. In Europa, purtroppo, il fascino della democrazia non basta più a far scendere la gente nelle piazze. Erano ventimila, ieri a Parigi, per manifestare solidarietà ai palestinesi. Altrettanti hanno manifestato per Israele nei giorni scorsi. Ma chi ha manifestato per la pace? Nessuno, ahinoi. Eppure sarebbe stato meraviglioso vedere un milione di persone in piazza".
Nessuno critica l'operato di Benjamin Netanyahu. Perché? "Forse per via di questi rigurgiti di antisemitismo che impestano nuovamente le comunità ebraiche e che frenano gli slanci di solidarietà nei confronti dei palestinesi da parte degli intellettuali ebrei. Gli stessi che in altre occasioni non hanno esitato a far sentire la loro voce, dalla guerra in Afghanistan a quella in Iraq".
Dunque non si parla della guerra di Israele perché c'è la paura di indebolire lo Stato ebraico? "È un po' come se gli intellettuali ebrei fossero paralizzati dalla paura. Ma paura di che cosa? Di condannare Netanyahu, che è forse il peggior leader della storia di Israele? No, la paura è quella di aiutare i piromani, e di nutrire il 'nuovo' antisemitismo. Sono perciò paralizzati. E li capisco".
Lei, al contrario, se la prende spesso e volentieri con il premier israeliano. Non teme come i suoi amici e colleghi di fiaccare Israele con le sue critiche? "La mia storia è diversa. Io ho sempre parlato con tutti, compresi Yasser Arafat e Khaled Meshaal, nella speranza di riconciliare Israele e la Palestina".
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