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Aloyse Cynthio de gli Fabritii (Alvise Cinzio Fabrizi)
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Le prime notizie che si hanno di lui risalgono al marzo del 1486: il 22 di quel mese, a Padova, "magister Alovisius tintius", che cinque giorni prima aveva superato il tentativum, sostenne 1'esame finale e fu proclamato dottore in arti [ ... ]. Poiché la laurea in arti veniva di solito conseguita intorno ai vent'anni o poco più, si può congetturare che il Fabrizi fosse nato nel settimo decennio del secolo. In seguito conseguì certamente anche la laurea in medicina, ma non si sa né quando né dove. il quarantennio successivo al 1486 è un periodo di totale oscurità, che possiamo solo immaginare diviso tra 1'esercizio della professione (a quanto pare, non molto redditizio) e frequentazioni intellettuali che non è possibile ricostruire nella loro ampiezza e nel loro spessore.
Il 5 ottobre 1526 il Fabrizi, che nell'occasione sfoggiava per la prima volta il cognome aggiuntivo "de li Fabritii", ottenne dal Senato un privilegio di stampa decennale per la "nova opera in terza rima Della origine de li volgari proverbii che tuto zi giorno si ragionano", da lui composta in molti anni di studio e di fatica. Fra le sanzioni minacciate a chi ristampasse 1'opera abusivamente, una riveste un certo interesse biografico: si tratta della multa di un ducato d'oro per ogni libro non autorizzato, che il Fabrizi chiede sia devoluta "alla scolla sua per la fabrica de S. Rocho" [ ... ]. Nel momento in cui il privilegio veniva concesso il volume era già pronto per la diffusione: il colophon, infatti, ci informa che era uscito dai torchi dei fratelli Bernardino e Matteo Vitali il 30 settembre di quell'anno.
L'opera era appena uscita che già cominciavano i primi guai per il suo autore. Uno dei bersagli della sua satira erano i frati minori osservanti di San Francesco della Vigna (convento in cui, fra l'altro, si trovava un suo cognato di nome Orso). Alla radice dell'astio del Fabrizi stavano anche, se non soprattutto, ragioni economiche: proprio su istigazione di alcuni zoccolanti, infatti, certe sue merci erano state gettate in mare da un bastimento che era incappato, tra Rimini e Pesaro, in una tempesta. Offesi in particolare dal contenuto del capitolo intitolato Ciascun tira l'acqua al suo molino, i frati protestarono presso i capi dei Dieci, affermando che il libro era "contra honorem maiestatis divinae, Christianae religionis et denique ... in obrobrium ipsorum venerabilium religiosorum S. Francisci". Non erano accuse di poco conto, in quegli anni. il 29 gennaio 1527, proprio a causa delle vivaci rimostranze degli zoccolanti, i capi dei Dieci fecero approvare una "parte" con cui veniva istituita a Venezia la censura preventiva tanto sui libri stampati in città quanto su quelli importati da fuori. il giorno seguente il Fabrizi fu chiamato al cospetto dei capi, che lo ripresero severamente, gli comunicarono che la sua opera sarebbe stata esaminata da due patrizi (Lorenzo Priuli e Gasparo Contarini, il futuro cardinale) e gli ingiunsero di eliminare dal suo libro tutto quel che i due censori designati avessero giudicato "nephas esse prodire in publicum". Al Fabrizi non restò che piegarsi a questa decisione, mettendo però, contemporaneamente, in moto la rete dei suoi amici e protettori: lo stesso Bembo (che si dichiarava tuttavia "astretto" a farlo) scrisse una lettera di raccomandazione in favore del Fabrizi al Contarini già il 5 febbraio. Per tutto 1'anno successivo [ ... ] non si hanno notizie del Fabrizi; quanto al libro, era stato sequestrato. Il 29 gennaio 1528 i capi dei Dieci presero due decisioni tra loro contraddittorie: con la prima, su richiesta degli stampatori, ordinarono "che i libri del dicto Cynthio che erano sequestrati non se havesseno ad dare fuori", finché gli stampatori stessi non fossero stati pagati; subito dopo, però, accolsero anche la supplica del Fabrizi, che, dichiarandosi malato e oppresso dai debiti a causa delle grandi spese sostenute per pubblicare il suo libro, chiedeva la restituzione delle copie sotto sequestro.
[. .. ] La vicenda si concluse un paio di settimane dopo, il 14 febbraio, quando i capi ordinarono a Giovanni Badoer di restituire tutti i volumi del Fabrizi "in eum locum, gradum et conditionem precise in quo erant priusquam auferrentur de librarli officina" (non vi è accenno a tagli o correzioni al testo, il che potrebbe far pensare che il Priuli e il Contarini non vi avessero trovato nulla di particolarmente empio). Erano gli stampatori, in definitiva, ad averla vinta [ ... ].
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