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Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione
Libro
pp. 248
13,00 €
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Saggio di Julia Kristeva.
Prima edizione: ottobre 1981.
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Se come si sente dire spesso la cultura e in particolare l'arte sono una purificazione, da che cosa ci si purifica?
La domanda così posta induce l'analista a interrogar si sui limiti dell'identità sia sociale sia individuale. Come si tracciano le frontiere tra lo "stesso" e l'" altro", tra il "proprio" e l' " estraneo"? Il nostro disagio, i nostri stati fragili, le fobie e i borderline ci danno ottimi ragguagli intorno alla natura drammatica di questa operazione che costituisce ogni insieme sociale come tale e ogni soggettività in sé autonoma separandoli da quanto altrimenti sarebbe solo caos.
Ma scrutando più da vicino l'operazione chirurgica di separazione che attraverso varie culture costituisce la fisionomia specifica di ciascuna (sozzura "selvaggia", tabù alimentare levitico o peccato cristiano) ci si accorge come essa agisca immancabilmente attorno al luogo materno. Lo costituisce separandoci da esso come un oggetto di desiderio e di rigetto: come
un abietto. Il disagio della civiltà non proverrebbe anche e sopra tutto dal fatto che nessun codice solido (religioso o etico) ci separa ormai dall'abiezione?
Formulo così la tanto discussa questione della "crisi dei valori" anche per vederla nel suo radicarsi nei deliri e nei sogni, a quelle incandescenti frontiere in cui "io" perdo il mio "proprio" a vantaggio di una cascata di fascino e di orrore.
Variante moderna dell'inferno? Del purgatorio? O più fondamentale modo di osservare i grandi cataclismi del nostro secolo nel microuniverso della soggettività da cui in ultima istanza attingono la potenza che sfida il diritto e la ragione?
Questa a mio parere è un'ottica che fra l'altro consente di restituire dignità all'arte che hanno dichiarata morta in troppi, di questi tempi. In altri termini chi potrebbe parlare dell'abietto meglio di colui che strappa i segni al loro valore denotativo perché dicano l'intermedio, l'incerto, l'in-
nominabile? Nostro recinto al di là della religione e della morale sono gli artisti e in particolare la scrittura alle prese con l'inoggettivabile e con la pulsione.
Sublimi e temerari, compromessi e compromettenti quando come ha fatto Céline si avventurano senza protezione nelle torbide acque dell'abiezione per trarne non una lezione ma semplicemente una musica. Questo libro, al di là dell'esperienza psicanalitica che comporta, costituisce una riflessione sul nichilismo moderno e sul suo superamento effettuato dalla scrittura. Una meditazione sulla sublimazione a cielo aperto.
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