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Un sapere che non si sa. L'esperienza analitica
Libro
pp. 166
12,91 €
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Questo libro propone la “riscoperta” di alcuni testi psichiatrici e psicanalitici (attraverso i racconti dei pazienti). Racconta, fra l'altro, come, nel diciassettesimo secolo, la giustizia inglese, a volte, sia stata spinta a sostituirsi a un'autorità medica, che veniva meno dinanzi all'isterica e come, allora, l'autorità giudiziaria si sia incaricata, al posto della medicina, di eliminare prima causa del male" mandando a morte un capro espiatorio.
L'autrice reinterroga i principali casi clinici di Freud. Si vedrà come Freud sia più a suo agio con l'Uomo dei topi che con le adolescenti insolenti. Con loro, perde di vista i riferimenti teorici. Uno dei capitoli più importanti di questo libro è costituito da una conversazione fra Octave Mannoni e Jacques Lacan. Questi appunti di lavoro, presi nel 1966, sono rimasti, oggi, sorprendentemente attuali. Un capitolo è dedicato alla psicanalisi dei bambini: in che cosa la tecnica della Dolto si differenzia, per esempio, da quella di Lebovici?
Il libro termina su questioni passate e presenti che riguardano la formazione dello psicanalista. L'inconscio è un sapere che non si sa. Soltanto il discorso analitico, secondo Lacan, può determinare il sapere non saputo di cui si gode. Nella Postfazione, Patrick Guyomard riprende l'esame di certe questioni lasciate in ombra: tra l'altro, quella che riguarda la variazione del tempo della seduta. Così, per la prima volta, sono interrogati con rigore i fondamenti teorici della pratica delle sedute brevi.
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