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Discorso sopra lo stato presente degli italiani
Libro
pp. 569
30,98 €
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Quando abbiamo imparato a leggere meno il Cuore e più il Pinocchio, abbiamo anche cominciato a liberarci dall'immagine, oleograficamente risorgimentista e retoricamente fascista, di un'Italia "cordialmente" ormai "una e indivisibile", e a scoprire un paese individualisticamente regionalista, "fatto" di italiani che restano nipotini dell'"uomo del Guicciardini", sempre legati al "particulare", ciascuno dei quali "fa tuono e maniera da sé" (Leopardi).
Un'altra Italia – la quarta? – nata dallo "spirito della resistenza" e dal patto dell'"unità antifascista"? Le vicende dell'Italia repubblicana, in queste pagine seguite anche indulgendo alla cronaca, accendono una riflessione sul destino del nostro Stato-nazione, ormai in Eurolandia e dentro il mercato globale. Al centro di questa riflessione la maturata sfiducia in una composizione dialetticamente equilibrata tra le ragioni del liberalismo e/o del liberismo e le ragioni del socialismo, e, di conseguenza, la constatazione, non rassegnata, del prevalere, anche nel nostro Paese, dell'"economico" sul "politico", quand'anche non sul "morale" o sull'"etico". Ma tant'è: il trionfo dell'"economia" sulla "politica" – o sulla "morale" o sull'"etica" – è ormai un fenomeno mondiale. Quando la cronaca delle vicende della nostra vita repubblicana cede il posto alla riflessione che essa stessa accende, avanza una domanda di fondo: sanno, i nostri politici di professione, che quotidianamente si accapigliano nello Stato-nazione come in un'arena periferica del mondo con l'intenzione, mai coronata dal successo, di salvaguardare la democrazia, che il loro mestiere è al tramonto?
No, questo libro non è riuscito a essere solo un pamphlet. Non poteva essere solo questo, soprattutto perché lo Stato presente degli italiani è lo stato presente di un mondo, in cui i nipotini dell'"uomo del Guicciardini", in quanto homines oeconomici, sono, molto probabilmente, quelli che in esso potranno trovarsi più in agio, perché, in un'epoca di irresistibile transnazionalismo, possono cantare, come i gloriosi anarchici di un tempo: "la nostra patria è il mondo intero". La patria, del resto, l'hanno già perduta, o non l'hanno mai avuta.
In occasione dei dibattiti svolti durante le celebrazioni del bicentenario della nascita di Giacomo Leopardi, iniziate nel 1998 e protrattesi fino alla fine del 1999, in merito all'attualità o inattualità del sommo poeta e di un suo scritto in particolare, pubblicato postumo, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani (1906), Antimo Negri si interroga sui cambiamenti occorsi tra gli italiani del risorgimento, quelli che fecero l'Italia, e gli italiani di oggi, che, forse, in un'Italia già "fatta", non sono ancora riusciti a "farsi" italiani.
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