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La violenza è ancora rivoluzionaria?
Libro
pp. 98
7,75 €
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Interventi di:
Jean Daniel, Sergio Romano, Robert Maggiori, Mario Capanna, Paolo Flores d'Arcais, Emanuele Severino, Laurent Dispot, Luciano Pellicani, Cesare Milanese, Massimo Meschini, Annalisa Scalco.
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La violenza costituisce la struttura del linguaggio. Una violenza senza autore. Una violenza intransitiva. Realizzare questa violenza non ha altro senso se non quello dell’ordine formato dall’intervento salvifico degli apparati istituzionali, dalla violenza terapeutica dello stato.
Freud ha fornito questa constatazione: lo stato proibisce la violenza non per sopprimerla ma soltanto perché vuole monopolizzarla come i sali e i tabacchi. Egli fa l'esempio della guerra in cui la legalità istituisce la violenza, ne è l'istituto fondamentale. Un esempio di ordine anche. L'ordine precipuo di ogni gestione dello stato. Come Lenin, Freud coglie lo spunto dalla prima guerra mondiale.
L'accordo o il conflitto sono retti dalla garanzia dell'inesistenza dell'atto sessuale. E vince la mediazione, compresa quella dell'arma. Ogni guerra si attiene al principio dell'inviolabile.
È dunque il nome del nome a garantire la mitologia della violenza - barbara o gentile, bruta o tenera. Relativa al mostro o alla donna tutta. È dunque la non violenza a fornire lo statuto di un debito pieno e senza ambage. E il contrario mira non solo a mediare il debito ma a esserne la trasparenza stessa.
Chi non va contro la tirannide? È legale. Legalizza il tiranno. La legalità viene definita dal fatto di aborrire la violenza. In Italia il cattolicomarxista si avvale di una dottrina del plagio con la sua concezione di vittima.
La violenza entra nelle dottrine politiche come un'astuzia della ragione. Non meno dell'Unione Sovietica, i paesi occidentali si formano sul principio della dolcezza, dell'innocenza, della perfezione illibata. Nella nostra epoca importano non tanto gli espedienti della politica, le ideologie, quanto il sistema degli ordinamenti e dei dogmi.
(Armando Verdiglione)
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