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Non tutto è politica
Libro
pp. 107
7,75 €
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La cultura che richiamandosi all'universo distribuisce gli abiti dell'universale e dell'universitario con cui celebrare la diversità costituisce indubbiamente una fogna su cui il buon governo può affiggere gli stemmi significativi di volta in volta della nazione e dell'origine di ogni evento futuro. Spolverarla e restaurarla ogni tanto consegna al suo patrimonio tutto il suo valore coprofilo di politica culturale. Trattata com'è dai mass media, la cultura si fa mensile a New York, annuale a Parigi, trimestrale a Milano mentre a Roma appare come un quotidiano che arriva tre giorni dopo. L'Europa occidentale pare avere assegnato alla cultura una definizione necrologica favorita dalla scomparsa di molti padri del precedente trentennio che hanno lasciato ai nipotini l'invidiabile impiego di formare il loro ritratto nei mass media. E psicanalisti e sociologi in ogni circostanza funerea per illustrare i paramenti della cronaca già nera sono stati premuti come pulsanti di macchine semantiche a spiegare tutto. A interpretare ogni pagliuzza senza indicare il fuoco. A dare un senso guidando l'intellettuale verso l'abito. A edificare l'anima del collettivo in direzione delle fabbriche del consenso. La cultura viene identificata in Francia con l'antropologia, con i rifiuti di un'ascesa illuminata e pagante o con i legami pericolosi e anadisciplinari. In Germania con l'istituzione – paga del suo riferimento allo stato – o con la reiezione. In Italia con la politica che per grazia, gratuitamente la presenta come emarginazione e la distribuisce come patrimonio fruibile custodendola. O con il segno della dannazione. Sono modalità diverse di metterla al servizio del patriottismo.
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