"Sempre, dallo studio della storia, è emerso che pochi uomini, dotati in maniera abnorme – i loro seguaci li chiamano 'illuminati' –, hanno fornito la materia infiammabile che ha scatenato i grandi movimenti popolari". Studiando queste personalità, Oskar Panizza (1853‑1921) ritiene di avere individuato e isolato con certezza scientifica una forma morbosa e virulenta, la psicopatia criminale, appunto, un'affezione della quale i democratici inveterati si offrono in maniera congenita e dalla quale i pensatori, gli ideologi e gli artisti in genere vengono, di volta in volta, aggrediti. Per estirpare questo pernicioso germe i governi di solito ricorrevano al patibolo e al carcere. Con uno staff di procuratori, di esperti giurati e di psichiatri preparati, invece, questi individui potrebbero essere dichiarati "malati di mente" e essere internati in salvifici manicomi di Stato. "Il trattamento mite, bagni temperati in vasca, la quiete, l'isolamento, il canto dell'usignolo al di là delle sbarre – un po' di josciamina e un po' di bromuro di potassio – e il discernimento politico di tutti questi internati" crescerebbe sensibilmente. La semplicità esibita da questa satira politica, il suo contesto storico così profeticamente fungibile, sinistramente proiettabile in tempi e realtà anche diversi e lontani fra loro, le inquietanti contraddizioni che affiorano dal pensiero di questo scrittore tedesco costretto a diventare un "anarchico" del pensiero, sono elementi che ripropongono oggi provocatoriamente la lettura di Psychopathia criminalis (1898).
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