Il tempo sorge con il cielo ma senza cosmo. Un cielo dunque diverso da quello definito da Aristotele ora come sostanza dell’estrema periferia del tutto e luogo del divino ora come universo ora come cielo astrologico. Il cielo si concede ai bambini, scrive Hölderlin. Non a coloro che lo cercano o bramano di portarlo sulla terra. E in quanto mai tratto il dado non conduce alla dolce dimora tanto agognata dal materialismo misterico di Laing né al primato della metamorfosi attuata in piena specularità e nella sincronia del vis-à-vis nel gabinetto di Jung. Già Ovidio scrive che il cielo non ha stabilità e che la trasformazione insita nel linguaggio non soggiace all’essere ma risente dell’ineguaglianza di ciascun elemento da se stesso. E aggiunge che nulla è costante, nulla identico a nulla. Ma Ovidio è stato esiliato al Ponto non per queste affermazioni che oggi l’antropoanalisi rivelerebbe per le sue cartelle sulla schizofrenia.
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